La tenuta della contabilità non basta per desumere il concorso del consulente nei reati fiscali dell’assistito.
E’ stata accolta, con rinvio, l’impugnazione promossa da un commercialista contro la condanna penale impartitagli a titolo di concorso in alcuni reati fiscali, contestati agli amministratori di fatto di una Srl.
Secondo la Suprema corte - sentenza n. 9068 del 5 marzo 2021 - la decisione impugnata aveva erroneamente tratto la penale responsabilità del ricorrente solo in considerazione della relativa posizione professionale ed in ragione dei compiti di consulenza e di collaborazione dallo stesso prestati in favore della società.
I giudici di merito, ossia, alla luce del ruolo e dei compiti lui assegnati avevano desunto che egli avesse la piena consapevolezza dei meccanismi illeciti, per quel che riguardava le anomalie dei pagamenti, le fatturazioni sottocosto, le apparenti rivendite senza margini di ricavo sull'imponibile, l'esplosione del fatturato in periodo di generale crisi economica.
Il consulente era stato addirittura additato come il verosimile architetto e coordinatore delle operazioni fraudolente, e ciò tenuto conto di alcuni suoi negativi precedenti.
Elementi che, tuttavia, non potevano essere collocati - secondo gli Ermellini - “nell'ambito della certezza processuale prodromica ad una valutazione di piena responsabilità, dando conto che all'odierno ricorrente poteva essere verosimilmente attribuito un ruolo di fattiva collaborazione nella realizzazione dell'illecito, e ciò in ragione della consapevolezza delle anomalie che promanavano dalla documentazione contabile”.
Nella sentenza impugnata, ossia, era ravvisabile un residuo salto logico tra la consapevolezza delle operazioni e il concorso nella realizzazione - non solo oggettiva - dei meccanismi fraudolenti, che i giudici territoriali avevano tentato di ovviare ricordando i precedenti del professionista e la concentrazione, negli uffici della società di consulenza dell'imputato, delle sedi di molte società coinvolte.
In tale contesto, l'oggettiva neutralità dei menzionati elementi o, comunque, la loro natura di deboli indizi, non era apparsa integrata dalla concretezza di ulteriori elementi in grado di superare un livello di mera verosimiglianza nell'attribuzione di responsabilità quantomeno concorsuale.
Da qui la necessità di procedere con un nuovo giudizio e ad una nuova valutazione della posizione del professionista nell’ambito della vicenda esaminata.
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