Comunione legale sciolta Coniuge può vendere la quota

Pubblicato il 06 aprile 2017

La Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha ritenuto pienamente legittimo l’atto di compravendita immobiliare, avente ad oggetto la quota indivisa, pari alla metà, del bene oggetto di comunione legale tra i coniugi; ciò, atteso che per il fallimento di uno dei due, la predetta comunione si era sciolta e divenuta analoga a quella ordinaria, con conseguente libera disponibilità della quota di spettanza del coniuge non fallito.

Il fatto che la comunione legale – precisano gli Ermellini – sia chiamata “senza quote”, è in realtà un artificio tecnico – giuridico, utile soltanto ad affermare il diritto del coniuge a non entrare in rapporti di comunione con estranei alla stessa ed a difendere il patrimonio familiare da intromissioni di terzi. Da qui la possibilità e la necessità di alienare il bene nella sua interezza o di espropriarlo vendendolo per intero, fintanto che duri la comunione.

Valido l’atto di trasferimento a terzi

Detta fondamentale esigenza, tuttavia, non sussiste più una volta che la comunione si sia sciolta per i motivi previsti dalla legge (nella specie, per il fallimento di uno dei coniugi). Per cui ciascun coniuge potrà separatamente cedere la propria quota – ossia la corrispondente misura dei suoi diritti verso l’altro – senza che da ciò ponga un problema di invalidità radicale dell’atto di trasferimento.

In tali casi, difatti – conclude la Corte con sentenza n. 8803 del 5 aprile 2017 – lo scioglimento della comunione legale comporta la possibilità che lo ius in re venga separatamente alienato, senza che ciò comporti un ipotetico vulnus nell'acquisto del terzo estraneo. Non può infatti confondersi la persistenza del vincolo coniugale (come nella specie), con il nuovo regime dei beni che un tempo furono al suo servizio.

 

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