Compenso avvocati. Niente palmario senza accordo espresso

Pubblicato il 29 giugno 2017

L’avvocato non ha diritto a pretendere un compenso aggiuntivo dal proprio cliente - oltre all'onorario - per l’esito favorevole della controversia (c.d. palmario), se ciò non risulti da specifico accordo scritto.

Così la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, confermando la statuizione di merito, ha respinto la pretesa di un legale, a trattenere la somma aggiuntiva (oltre al compenso fatturato) percepita da un cliente che aveva assistito in una causa di risarcimento danni.

Se manca la prova dell’accordo, è patto di quota lite

Orbene, in sede di istruttoria, non ha trovato alcun riscontro l’assunto del legale, per cui sarebbe stata pattuita con il cliente la determinazione di un compenso aggiuntivo, nella misura di fatto corrisposta. Né assumono alcun rilievo, in tal senso, i versamenti spontanei effettuati dall'assistito, che avrebbero potuto giustificarsi anche con l’esigenza di non incorrere nel rischio di pregiudicare la prestazione professionale. Del resto si sono mostrati dello stesso avviso anche i competenti organismi professionali, che hanno a suo tempo previsto, per tale accaduto, l’irrogazione di una sanzione disciplinare al professionista.

Non è dunque configurabile – conclude la Corte con sentenza n. 16214 del 28 giugno 2017 – alcun diritto dell’avvocato a trattenere l’importo contestato in forza dell’asserita pattuizione del palmario, in mancanza di prova scritta dell’accordo; in tal caso qualificandosi la pattuizione, piuttosto, come illecito patto di quota lite.

Niente raddoppio onorari; vicenda non particolarmente complessa

Come non trova parimenti accoglimento l’ulteriore censura del legale, secondo cui sussistevano nella specie i presupposti per il raddoppio degli onorari massimi, non trattandosi, invero, di vicenda che presentasse particolari profili di complessità.

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