Anche dopo l’istituzione del Cndcec, l’elaborazione dati e la presentazione delle dichiarazioni fiscali non sono attività esclusive di commercialisti o di soggetti con abilitazione.
Pertanto, se il contratto ha ad oggetto tali attività non riservate è il principio di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a dettare le regole. Dunque, chiunque svolga attività non riservate ha diritto alla retribuzione e all’eventuale esercizio delle azioni a tutela del suo credito.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 8683 del 28 marzo 2019, rovescia l’appello e dà ragione al professionista non iscritto all’ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili: ha diritto al compenso.
La motivazione è da ricercare nel principio richiamato dalla Corte: l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge, dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente solo se la prestazione espletata dal professionista rientra nelle attività riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale. In questa eventualità, il soggetto non iscritto non ha azioni per ottenere il pagamento del dovuto, neppure quella sussidiaria di ingiustificato arricchimento (ex art. 2041 c.c.).
Ciò vale anche per le prestazioni effettuate dopo l’istituzione dell’albo unificato del dottori commercialisti e degli esperti contabili (DLgs. 28 giugno 2005 n. 139), che ha elencato le attività di esclusiva competenza delle professioni commerciali.
Richiamando pregresse sentenze, la Cassazione indica le attività che non rientrano nell'ambito di quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica abilitazione:
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