Commercialista contribuisce ad attuare l’illecito tributario? Sì al sequestro

Pubblicato il 17 settembre 2020

In due sentenze depositate ieri, 16 settembre 2020, la Corte di cassazione ha confermato il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, disposto ai danni di altrettanti professionisti, indagati per concorso in reati fiscali.

False dichiarazioni Iva. Sequestro ai danni del commercialista che appone il visto

Nel primo caso – sentenza n. 26089/2020 – l’indagine per falsa dichiarazione Iva in cui è stata disposta la misura cautelare vedeva coinvolti più coindagati, tra i quali anche il consulente fiscale e commercialista delle società riconducibili ai primi.

Questi aveva promosso ricorso in sede di legittimità lamentando una violazione di legge e apparente motivazione per quel che concerneva la valutazione del fumus commissi delicti.

Doglianza ritenuta tuttavia infondata dagli Ermellini, secondo i quali, per contro, la valutazione operata dal Tribunale del Riesame era corretta, essendo state adeguatamente illustrate le ragioni poste a fondamento della decisione sulla misura del sequestro.

La Suprema corte ha sottolineato come dalle risultanze istruttorie fosse emersa la costituzione di un meccanismo fraudolento in cui erano coinvolte ben 24 società riconducibili ai medesimi soggetti, società, queste, con sedi quasi tutte inesistenti, il che strideva con il fatto che le medesime avevano rappresentato nelle dichiarazioni Iva rilevanti crediti d’imposta, poi risultati privi di alcuna giustificazione.

Il consulente, in tale contesto, aveva fornito un apprezzabile contributo nell'attuazione delle attività illecite, avendo il suo studio provveduto all’invio telematico delle false dichiarazioni Iva, apponendovi un visto di conformità sicuramente mendace, omettendo ogni controllo e non trattenendo nemmeno copia della documentazione contabile.

Indebita compensazione. Sì a misura cautelare nei confronti dell’intermediario

Con l’altra decisione – n. 26087/2020 – è stato confermato il sequestro preventivo disposto nell’ambito di un’articolata indagine a carico di una pluralità di indagati sulle somme di denaro giacenti nei conti correnti loro intestati e alla Spa che faceva loro capo, sino alla concorrenza della somma individuata quale importo complessivo delle imposte non versate per effetto della commissione del reato di indebita compensazione.

Tale delitto era stato ascritto, a titolo di concorso, anche in capo al commercialista, presidente del collegio sindacale della società di riferimento nonché professionista intermediario, per aver contribuito all’attuazione del sistema di illecita estinzione di debiti tributari della società utilizzando in compensazione crediti inesistenti. Tramite il consulente, infatti, erano stati inviati i modelli F24 per la compensazione dei tributi dovuti dalla società con i crediti risultati inesistenti.

Rispetto alla posizione di tale indagato, la Suprema corte ha riconosciuto che il Tribunale del riesame avesse sufficientemente illustrato le ragioni poste a fondamento della decisione cautelare.

In particolare, era stato evidenziato come fosse impensabile che il commercialista avesse adempiuto agli incombenti demandatigli rimanendo all’oscuro dell’obiettivo illecito perseguito, tanto più che egli aveva avuto modo di consultare la documentazione sottostante, rivelatasi carente e irregolare.

Tali considerazioni avevano indotto a ritenere configurabile, in questa fase, il concorso del medesimo nel reato di indebita compensazione, quantomeno in termini di dolo eventuale.

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