Come inquadrare ai fini INAIL il familiare del socio di società di persone?

Pubblicato il 05 dicembre 2014

Gli ispettori della DTL effettuano un accesso ispettivo all’interno dei locali di Alfa Snc e trovano al lavoro Tizio figlio di Caio, quest’ultimo socio di Alfa. Tizio risulta iscritto all’INAIL come collaboratore familiare di Caio. Gli ispettori sono chiamati a decidere se tale rapporto di collaborazione sia o meno compatibile con lo schema dell’impresa familiare di cui all’art 230 bis c.c.. Quali conseguenze giuridiche possono prospettarsi all’esito degli accertamenti?



Premessa

Sarebbe auspicabile che l’agognata riforma del diritto del lavoro, comunemente nota con il termine Jobs Act, contenga una disciplina anche per le prestazioni di lavoro rese nell’ambito delle imprese familiari, atteso che la materia è tuttora contrassegnata da zone d’ombra e da lacune normative che spesso vengono colmate da prassi e da orientamenti giurisprudenziali ondivaghi. Al fine di dirimere parte delle incertezze, le SS.UU. sono intervenute sulla compatibilità, ritenuta ammissibile dall’INAIL, tra schema societario e impresa familiare. Analizziamo in dettaglio la tematica.

L’impresa familiare


L’impresa familiare di cui all’art. 230
bis del c.c. si costituisce mediante manifestazione anche tacita di volontà.

L’unanime giurisprudenza è dell’avviso che l’impresa familiare abbia carattere, non collettivo, bensì individuale, in virtù del rapporto associativo di lavoro a rilevanza interna che lega il familiare titolare dell’impresa con ciascuno degli altri familiari che collaborano con esso.

Sicché in linea di principio sono assoggettabili alla disciplina dell’impresa familiare solo le ditte individuali, artigiane o commerciali.

Iscrizione all’INAIL dei familiari


La Corte costituzionale, con la sentenza n. 476 del 10 dicembre 1987, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, n. 6, del T.U. n. 1124 cit., nella parte in cui non ricomprendeva tra le persone assicurate i familiari partecipanti all’impresa familiare, indicati nell’art. 230 bis c.c. che prestano opera manuale od opera a questa assimilata.

L’INAIL ha preso atto di tale pronuncia e ha emanato la circolare n. 67 del 1/12/1988 con la quale ha stabilito che i collaboratori di cui all’art. 230 bis, che prestino in via non occasionale ergo in maniera continuativa e cioè con costanza e regolarità, la loro attività lavorativa manuale o di sovraintendenza ad opera manuale altrui nell’ambito dell’impresa familiare, devono essere assicurati anche in assenza del requisito della subordinazione o di un vincolo societario tra essi e il datore di lavoro. A tal fine l’iscrizione viene effettuata ai sensi dell’art. 23 del T.U. n. 1124/65 inoltrando all’INAIL, preventivamente all’instaurazione del rapporto collaborativo, apposito modello telematico.

Sotto tale profilo l’aspetto più controverso e delicato consiste proprio nello stabilire quando l’apporto possa considerarsi non occasionale e quindi continuativo e di conseguenza quando la prestazione abbia natura lavoristica e non si atteggi invece come un adempimento al dovere di appartenenza alla famiglia.

L’orientamento del Ministero del Lavoro

Il Ministero del Lavoro ha ritenuto che la prestazione può ritenersi non occasionale quando è connotata da stabilità e sistematicità
. Il carattere descrittivo di tali concetti è stato poi quantificato numericamente nel senso che il Dicastero ha ritenuto non occasionale ai fini previdenziali la prestazione che supera 720 ore nell’anno solare, mentre ai fini prettamente assicurativi tale occasionalità si esaurirebbe in un massimo di 10 giornate lavorative nell’arco dell’anno solare. Senza sindacare sull’eventuale bontà del criterio utilizzato occorre piuttosto analizzare quando tali parametri siano raggiunti dal familiare che presta attività nell’ambito di un’impresa non individuale ma societaria di natura personale.

L’assicurazione del familiare del socio

In merito all’attività lavorativa resa dal familiare del socio la Suprema Corte, superando un precedente indirizzo, si era orientata nel senso di ritenere che “il coniuge che svolga attività di lavoro familiare in favore del titolare di impresa ha diritto alla tutela prevista dall’art. 230 bis c.c. (al pari degli altri soggetti indicati dal terzo comma di tale articolo), anche se l’impresa sia esercitata non in forma individuale ma in società di fatto con terzi, in tale ipotesi applicandosi la disciplina di cui al citato art. 230 bis c.c. nei limiti della quota societaria, atteso che la nozione di impresa familiare non comporta necessariamente l’esistenza di un soggetto imprenditoriale collettivo familiare, e che l’istituto ha natura residuale, venendo nel suo ambito regolati i diritti corrispondenti alle prestazioni svolte dal soggetto partecipante a favore del familiare che se ne avvale, anche quando questi utilizzi tale apporto per un’attività economicamente svolta quale socio di una società di fatto”. Sulla scorta dell’evoluzione giurisprudenziale, l’INAIL con nota prot. n. 2653 del 22 marzo 2010 ha aderito all’orientamento della S.C. stabilendo che il familiare coadiuvante che presta la propria attività in favore del socio di società in nome collettivo o l’accomandante familiare dell’accomandatario di società in accomandita semplice, possono essere iscritti presso l’Istituto qualora esercitino, non il dovere familiare, ma la propria attività di lavoro in modo continuativo e a titolo oneroso.

Il
revirement delle SS.UU.

Sennonché il quadro sopra descritto deve essere nuovamente rivisto, poiché la S.C. è tornata recentemente sull’argomento con una decisione che determina un revirement secco, giacché assunto dal Supremo Collegio a Sezioni Unite. Nell’occasione infatti i Giudici di Piazza Cavour hanno osservato che nel contesto letterale della disposizione di riferimento, costituita dall’art. 230-bis c.c., la scelta del legislatore di utilizzare costantemente il lemma impresa, piuttosto che fare riferimento all’imprenditore come soggetto obbligato, se appare significativa dell’attività economica organizzata resta comunque di per sé neutra. Resta semmai inequivocabile secondo la S.C. che la disciplina patrimoniale riguardante la partecipazione del familiare agli utili ed ai beni acquistati con essi è tecnicamente irriducibile ad una qualsiasi tipologia societaria. Secondo tale prospettiva “confliggente con regole imperative del sottosistema societario è, altresì, il riconoscimento di diritti corporativi al familiare del socio, tale da introdurre un inedito metodo collegiale maggioritario nelle decisioni concernenti l’impiego degli utili, degli incrementi, nonché la gestione societaria e gli indirizzi produttivi e financo la cessazione dell’impresa stessa”. Tali postulati portano la S.C. a concludere perentoriamente nel senso che l’istituto dell’impresa familiare è di natura residuale rispetto ad ogni altro tipo di rapporto negoziale eventualmente configurabile ed è altresì incompatibile con la disciplina delle società di qualunque tipo. Alla luce di tale nuovo indirizzo occorre valutare quali esiti possano scaturire dall’ispezione cui è stata sottoposta Alfa.

Il caso concreto


Gli ispettori della DTL hanno effettuato un accesso ispettivo all’interno dei locali di Alfa Snc e hanno trovato al lavoro Tizio figlio di Caio, quest’ultimo socio di Alfa. Tizio risulta iscritto all’INAIL come collaboratore familiare di Caio. Gli ispettori sono chiamati a decidere se tale rapporto di collaborazione sia o meno compatibile con lo schema dell’impresa familiare di cui all’art 230 bis c.c.. Se gli ispettori dovessero seguire l’orientamento tracciato recentemente dalle SS.UU. pare evidente che il rapporto andrebbe riqualificato, stante l’incompatibilità dello schema societario con l’impresa di cui all’art. 230 bis c.c.. Vero è però che tale rapporto è stato instaurato antecedentemente alla pronuncia delle SS.UU., quando invero la forma di collaborazione de qua era considerata ammissibile dalla stessa S.C. il cui indirizzo è stato vieppiù recepito dall’INAIL con nota prot. n. 2653 del 22 marzo 2010. Pertanto gli scriventi sono dell’avviso che gli ispettori della DTL potrebbero non riqualificare il rapporto di Tizio lasciando inalterata la forma collaborativa di natura familiare. Eventualmente in prospettiva futura l’auspicio sarà quello di un’uniformità interpretativa e applicativa da parte degli organi assicurativi e di vigilanza.


NOTE

i Cfr. Cass. Civ. 08/04/1981, n. 2012; Cass. Civ. 16/07/1981, n. 4651; Cass. Civ. 23/11/1984, n. 6069; Cass. Civ. 16/04/1992, n. 4650; Cass. Civ. 20/01/1993, n. 697.

ii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 15/04/2004, n. 7223; Cass. civ. Sez. lavoro, 20/06/2003, n. 9897; Cass. sez. unite, 4 gennaio 1995, n. 89; ex multis cfr. Cass. sez. unite, 23 giugno 1993, n. 6951; Cass., 25 luglio 1992, n. 8959; Cass., 2 aprile 1992, n. 4030.

iii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 23/09/2002, n. 13849.

iv Nota INAIL Prot. 60010.25/08/2008.0006793 del 25 agosto 2008.

v Ministero del Lavoro circolare prot. n. 37/0010478 del 10/01/2013.

vi Ministero del Lavoro lettera circolare n. 14184 del 5 agosto 2013.

vii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 06/08/2003, n. 11881.

viii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 23/09/2004, n. 19116; Cass. civ. Sez. lavoro, 19/10/2000, n. 13861. Cfr. Trib. Torino, 13/11/2008.

ix Cass. civ. Sez. Unite, 06/11/2014, n. 23676.

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