Il committente non è tenuto a comunicare il rapporto se il co.co.co. è un professionista, ossia svolge un’attività lavorativa di tipo intellettuale. Difatti, gli obblighi di comunicazione previsti in base all'art. 4 del D.Lgs. n. 181/2000 e ribaditi dall'art. 39 del D.L. n. 112/2008, oltre che per i lavoratori subordinati e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo, anche per i collaboratori coordinati e continuativi non si applicano nel caso in cui il collaboratore eserciti una professione intellettuale.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24082 del 7 settembre 2021.
Il caso riguarda un titolare di una farmacia rurale, sanzionata nel marzo del 2012, per:
La titolare aveva fatto opposizione, rigettata tuttavia in entrambi i gradi di merito prima dal Tribunale e poi dalla Corte d'Appello di Sassari.
La Suprema Corte dà ragione alla farmacia. Secondo gli ermellini, questi obblighi di comunicazione non possono trovare applicazione per quei rapporti che “pur rientrando in via astratta nella nozione della cosiddetta parasubordinazione, non comportino un rischio effettivo di abuso ed elusione della normativa inderogabile in materia di lavoro, tutelati dalla normativa citata”.
Fra queste attività lavorative – secondo i giudici di legittimità – rientrano proprio le professioni intellettuali:
Dunque, l’iscrizione all’Ordine è ritenuta dallo stesso Ministero del Lavoro sufficiente a escludere il rischio di elusione della normativa e rende superflue le comunicazioni che servono a monitorare il mercato del lavoro.
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