Con sentenza depositata il 14 gennaio 2016 (Affaire D.A. Et Autres c. Italie), la Corte europea dei diritti dell'uomo è tornata a condannare l'Italia per la questione del sangue infetto (come già nel 2009, ove aveva riconosciuto gli indennizzi ai numerosi italiani che avevano contratto patologie per aver ricevuto trasfusioni di sangue o emoderivati infetti).
Questa volta la condanna al nostro Paese ammonta a circa dieci milioni di euro.
A rivolgersi a Strasburgo sono state oltre 800 vittime, parenti di malati deceduti per patologie da sangue infetto, le quali, appellandosi dapprima alle autorità nazionali per ottenere gli indennizzi, si erano scontrate con diversi ostacoli ed intollerabili lungaggini (in alcuni casi, i processi sono durati anche 12 anni per un solo grado) a detrimento del loro diritto al risarcimento .
Costatata dunque – a parere della Corte europea – la violazione dell'art. 6 Cedu sul diritto all'equo processo, posto che molte delle pronunce nazionali sugli indennizzi sono rimaste solo sulla carta, e le vittime, stante il ritardo nell'esecuzione, sostanzialmente prive di effettivo ristoro. Ciò – precisa la Cedu - senza alcuna plausibile giustificazione, trattandosi, a maggior ragione, di tutela risarcitoria da accordare a soggetti malati.
Tra le altre violazioni costatate dalla Corte, si segnala quella dell'art. 1, Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà, in cui si fanno rientrare i crediti esigibili che lo Stato deve corrispondere, senza che possa qui giustificarsi, adducendo la complessità delle procedure o della mancanza di budget.
Si segnala altresì la violazione dell'art. 13 Cedu che assicura il diritto alla tutela giurisdizionale, nonchè dell'art. 2 sul diritto alla salute,
Solo su un aspetto Strasburgo ha dato ragione all'Italia, ovvero sulla somma forfettaria di 100mila euro prevista con D.L. n. 90/2014 (ritenuta adeguata), per ogni persona danneggiata che abbia deciso di avvalersi di una procedura transattiva
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