Cassazione su prescrizione breve e frodi Iva: disciplina da disapplicare

Pubblicato il 22 settembre 2015

La Corte di cassazione, Terza sezione penale, con informazione provvisoria resa il 18 settembre 2015, ha risposto ad una questione a lei sottoposta in materia di prescrizione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto (Iva).

La pronuncia segue la recente sentenza della Corte di Giustizia Ue dell’8 settembre 2015, causa C-105/14, secondo la quale la normativa italiana in materia di prescrizione abbreviata e frodi Iva contrasterebbe con le norme comunitarie nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.

I giudici di legittimità, in particolare, hanno risposto affermativamente circa l’idoneità del combinato disposto dell'articolo 160, ultimo comma, e dell'articolo 161 del Codice penale - ai sensi dei quali l'atto interruttivo comporta il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale - a recare pregiudizio agli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, prevedendo “termini assoluti di prescrizione che possono determinare l'impunità del reato, con conseguente potenziale lesione degli interessi finanziari dell'Unione europea”.

Viene confermato, quindi, come spetti al giudice nazionale disapplicare le predette disposizioni di diritto interno in quanto possono pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dal diritto dell'Unione.

Sulla medesima questione, nel frattempo, la Corte d’appello di Milano, con ordinanza del 18 settembre 2015, ha inoltrato alla Corte costituzionale una questione di legittimità riferita all’articolo 2 della Legge n. 130/2008, attuativa del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, rispetto all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione.

La disapplicazione da parte del giudice degli articoli 160 e 161 del Codice penale che consegue all’interpretazione data dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza dell’8 settembre e che verrebbe imposta sulla base dell’articolo 325 del Trattato, potrebbe ledere il principio costituzionalmente sancito secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge in vigore al momento della commissione del fatto.

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