La Corte di cassazione si è pronunciata in tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta.
Ha spiegato, in proposito, che il tempo trascorso dalla commissione del fatto deve essere determinato avendo riguardo all'epoca delle condotte illecite e non al momento in cui è intervenuta la dichiarazione giudiziale di insolvenza.
La dichiarazione di insolvenza, infatti, anche se determina il momento consumativo del reato, non costituisce riferimento utile per vagliare il comportamento dell'indagato, ai sensi dell'art. 274 cod. proc. pen., collocandosi fuori della sua sfera volitiva.
E’ quanto sottolineato dalla Suprema corte nel testo della sentenza n. 24022 del 24 agosto 2020, con riferimento ad un provvedimento con cui il tribunale, per affermare la concretezza e l'attualità del pericolo di recidiva in capo all’indagato, incolpato del reato di bancarotta fraudolenta, aveva fatto leva soprattutto sui suoi più recenti comportamenti che - a dire del giudice della cautela - dimostravano la continuità del "periculum libertatis".
Il Tribunale del riesame, nella specie, aveva confermato il provvedimento del Giudice delle indagini preliminari applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari.
Secondo gli Ermellini, per contro, si imponeva “una maggiore ponderazione” nella valutazione del periculum di reiterazione in capo all'indagato, tenuto conto che gli ultimi fatti considerati risalivano comunque agli inizi del 2018 mentre l'applicazione della cautela al marzo 2020.
Senza contare che al di là della integrazione della condotta distrattiva, era innegabile che dalla medesima non fossero ricavabili elementi particolarmente qualificanti ai fini della dimostrazione della pericolosità.
La decisione di merito, ciò posto, è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione complessiva delle emergenze processuali e in ordine alla concretezza e attualità del pericolo di recidiva.
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