Inutile invocare l’indulto, per l’avvocato sospeso dalla professione ad esito di un procedimento disciplinare, originato da una condanna penale per bancarotta fraudolenta.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, respingendo il ricorso di un legale avverso la decisione del Consiglio Nazionale forense, che ne aveva confermato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione – pur riducendone la durata – a seguito di condanna dello stesso per concorso in bancarotta.
Avverso detta decisione il ricorrente invocava l ’applicazione dell’indulto, perché fosse condonata la sanzione disciplinare irrogata.
La Corte ha tuttavia chiarito come la norma regolatrice dell’indulto – ci si riferisce in particolare all'art. 174 c.p.p. – disponga la sola estinzione della pena principale e non anche della pena accessoria o degli altri effetti penali della condanna, salvo che la legge non disponga altrimenti.
Sulla base del tenore letterale della norma codicistica, si deve dunque ritenere che il legislatore abbia inteso regolamentare direttamente – ossia con le sue dirette previsioni – gli effetti dell’indulto, con riferimento all'ipotesi in cui una legge dispositiva del condono venga adottata senza una particolare disciplina degli effetti da ricollegarsi alla misura premiale. Nel contempo, lasciando alla stessa legge di adozione dell’indulto, l’eventuale compito di ampliare quegli effetti.
Ne consegue che se la legge di indulto non specifica gli effetti, essi sono quelli indicati dalla norma, che si riferisce dunque alla sola pena principale per i reati contemplati. Il che esclude che, se la norma stessa non provvede, possano esserne individuati degli altri.
Allo stesso modo – conclude la Corte con sentenza n. 14039 dell’8 luglio 2016 - se la legge di indulto non dispone in senso ampliativo, deve parimenti escludersi efficacia estintiva delle pene accessorie, come per l’appunto nel caso di specie.
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