Le particolari garanzie previste dall’articolo 103 del Codice di procedura penale in caso di ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori non sono finalizzate a tutelare chiunque eserciti la professione legale, bensì solo colui che riveste la qualità di difensore in forza di uno specifico mandato, conferitogli nelle forme di legge.
Le stesse sono, infatti, fondamentalmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell’imputato.
Ne consegue che dette garanzie non possono essere applicate quando le ispezioni e le perquisizioni devono essere compiuti nei confronti dell’esercente la professione legale che sia sottoposto a indagine.
Il discorso è diverso nel caso in cui, nel corso della perquisizione, venga disposto il sequestro di un rilevante quantitativo di atti e documenti relativi all’attività professionale dell’indagato, qualora non emerga che gli stessi costituiscano il corpo del reato.
Di fatto, un tale sequestro non è consentito, stante l’espresso divieto al riguardo stabilito dal secondo comma dell’articolo 103 citato, e determina una indebita e non necessaria ingerenza nell’attività difensiva svolta dal professionista nell’interesse di terzi, tale da pregiudicare il libero svolgimento della sua attività.
E’ quanto spiegato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 28069 del 7 giugno 2017 e con la quale è stata annullata, con rinvio, l’ordinanza di convalida di sequestro di diversi atti e documenti relativi all’attività professionale del legale ricorrente, indagato per reati tributari.
L'annullamento è stato disposto in quanto in relazione ai medesimi atti e documenti sequestrati non erano stati indicati i presupposti legittimanti l’adozione della misura e, in particolare, la natura di corpo di reato ai sensi dell’articolo 103, comma 2 C.p.p.
Nel testo della decisione, i giudici di legittimità hanno, comunque, sottolineato che, per quanto riguarda le attività ispettive compiute nei confronti del legale, non vi era stata alcuna violazione degli articoli 103 e 250 C.p.p., per come prospettata dal ricorrente, quanto, in particolare, all’esecuzione della perquisizione presso l’abitazione della di lui consorte.
Presso quest’ultimo luogo, infatti, si trovavano custoditi atti e documenti relativi alla sua attività professionale, necessari per l’accertamento dei relativi redditi e di cui era stata più volte rifiutata l’esibizione.
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