Un’attività quale quella effettuata dalla società statunitense Uber – che consiste nel mettere in contatto, attraverso un software per telefoni cellulari, potenziali passeggeri e conducenti che offrono prestazioni individuali di trasporto urbano a richiesta – non costituisce un servizio della società dell’informazione, bensì un servizio di trasporto vero e proprio. Ne deriva la necessità che l’erogatore di detto servizio debba rispondere alle prescrizioni dettate dal legislatore nazionale in materia di trasporto pubblico (esattamente con un autista di taxi) e che, come tale, sia soggetto a licenza.
In questo senso, le conclusioni dell’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue Maciej Szpunar, rese l’11 maggio 2017, nell'ambito di una controversia (C 434 /15) tra un’Associazione di tassisti spagnoli e la società Uber, accusata di concorrenza sleale.
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