Le Sezioni Unite civili di Cassazione, con la sentenza n. 21948 del 28 ottobre 2015, hanno rigettato il ricorso presentato da un avvocato contro la sanzione disciplinare irrogatagli dal Consiglio nazionale forense.
Quest’ultimo, riformando parzialmente l'incolpazione e la sanzione originariamente disposte dal Consiglio dell’Ordine locale, aveva condannato il legale in considerazione dell’addebito di violazione dell’articolo 49 del Codice deontologico forense allora vigente, per avere aggravato la situazione debitoria della controparte procedendo, per conto dello stesso cliente, a plurimi atti di intervento per fatture autenticate emesse in arco temporale ristrettissimo ovvero per decreti ingiuntivi ottenuti contestualmente o in breve arco temporale, ottenendo, per ciascuno di essi, la liquidazioni delle consequenziali spese.
La Suprema corte, in ordine alla specifica censura di indeterminatezza nella formulazione del capo di incolpazione, ha ricordato come, nel procedimento disciplinare a carico del professionista legale, la contestazione degli addebiti non esiga una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che interano l’illecito, essendo, invece, sufficiente che l’incolpato, con la lettura dell’imputazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace e senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli.
E a questo principio – hanno evidenziato i giudici di legittimità – si era attenuta la decisione impugnata in quanto, con adeguata argomentazione, era giunta alla conclusione che il thema decidendum comprendeva sin dalla formulazione del capo di incolpazione proprio quelle condotte rispetto alle quali il ricorrente aveva dedotto il contrasto tra fatto contestato e decisione.
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