L’Unione delle Camere Penali Italiane ha rivolto un appello ai deputati perché provvedano all’immediato inserimento, all’ordine del giorno della Commissione Speciale, dello schema di decreto sulla Riforma penitenziaria, “consentendo finalmente che almeno parte della Delega diventi Legge dello Stato”.
Lo hanno fatto con nota dell’11 aprile 2018, a firma dell’UCPI e dell’Osservatorio Carcere della medesima Unione.
Gli avvocati penalisti ricordano la sanzione che, l’8 gennaio 2013, ha applicato la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia a causa delle disumane condizioni carcerarie riconosciute a diversi soggetti, persone offese che ora “attendono Giustizia, rimanendo tuttora reclusi in condizioni che violano apertamente la dignità della persona”.
Ricordato, anche, come la delega conferita al Governo sia stata il frutto della collaborazione resa da giuristi, avvocati, magistrati, funzionari dell’amministrazione penitenziaria, oltre duecento persone, “guidati solo dalla loro passione e dal doveroso rispetto dei diritti civili”.
Per l’Unione, è “gravissimo che la volontà del Parlamento, organo rappresentativo della volontà dei cittadini espressa con chiarezza dalla Delega, e le raccomandazioni della CEDU, trovino, a pochi passi da una pur minima realizzazione, un improvviso ed irragionevole arresto a causa del mancato inserimento dello schema di decreto, nei lavori della Commissione Speciale della Camera dei Deputati, in quanto ritenuta materia non urgente”.
In proposito, si segnala che, con nota dell’11 aprile 2018, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha informato di aver telefonato ai nuovi Presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Casellati e Roberto Fico, chiedendo loro di riconsiderare tale decisione e consentendo, quindi, alla Commissione di esprimere il parere sullo schema di decreto.
Per Orlando, la mancata attuazione della riforma rischierebbe di pregiudicare “gli importanti passi compiuti, che hanno determinato la chiusura del monitoraggio al quale il nostro Paese era stato sottoposto a seguito della condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del gennaio 2013”.
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