Il rifiuto di fornire un dispositivo di accesso alla rete privata virtuale degli avvocati, opposto dalle autorità competenti nei confronti di un avvocato debitamente iscritto ad un Ordine forense di un altro Stato membro – per il solo motivo che tale avvocato non risulti iscritto presso un foro del primo Stato membro in cui intende esercitare la professione in qualità di libero prestatore di servizi - costituisce una restrizione non in linea con la direttiva europea 77/249/CEE (intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte di avvocati, in combinato disposto con l’art. 56 e 57 TFUE). Spetta in tal caso al giudice del rinvio verificare se tale rifiuto, alla luce del contesto in cui è opposto, risponda realmente agli obiettivi di tutela dei consumatori e di buona amministrazione della giustizia che possano eventualmente giustificarlo, e se le conseguenti restrizioni non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
Lo ha enunciato la Corte di Giustizia Ue, con sentenza del 18 maggio 2017 nella causa C 99/16, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull'interpretazione della menzionata direttiva 77/249/CEE del 22 marzo 1977, art. 4. Tale domanda era stata presentata nell'ambito della citazione a giudizio dell’Ordine degli avvocati di Lione, presentata da un legale Lussemburghese al fine di ottenere che l’Ordine di Lione gli fornisse, per poter svolgere servizi transfrontalieri, il dispositivo di accesso all'area privata virtuale degli avvocati.
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