La mancata contestazione del reato presupposto, non esclude la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza – dunque la contestazione – in capo all'indagato, del reato di autoriciclaggio.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica, avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva annullato la misura degli arresti domiciliari a carico di un soggetto gravemente indiziato per autoriciclaggio. L’indagato, in particolare, in concorso con il dominus di un gruppo societario ed in qualità di consulente contabile del gruppo medesimo, era accusato di aver, mediante condotte diverse, impiegato, trasferito e sostituito tramite le società riconducibili al dominus, in attività economiche, finanziarie e speculative, denaro ed altre utilità provenienti da un delitto non colposo, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza illecita. In tal senso, al professionista veniva contestato di aver tenuto in modo irregolare e confuso la contabilità e di non aver segnalato all’Ufficio italiano cambi, pur avendone l’obbligo, le operazioni di cui sopra, come operazioni sospette.
Dapprima il Tribunale del riesame aveva escluso che in capo al professionista vi fosse consapevolezza della provenienza illecita delle somme investite. Ma il Procuratore aveva impugnato la statuizione, sostenendo come il contabile non potesse certo ritenersi una classica “testa di legno”, bensì un soggetto dotato di particolari competenze in materia tributaria e contabile; oltretutto con potere di accesso e gestorio dei conti delle società. Ragionamento avallato dalla Corte Suprema, per cui, stanti le suddette competenze, l’indagato non poteva non sapere che attraverso i conti in questione – per i quali redigeva bilanci e teneva scritture contabili – transitava denaro sporco. Per cui appare ragionevole sostenere che la tenuta irregolare della contabilità fosse finalizzata ad occultare la provenienza illecita del denaro poi reinvestito.
Altresì priva di fondamento – sostengono infine gli Ermellini con sentenza n. 42561 del 18 settembre 2017 – l’argomentazione per cui si riteneva che la mancata contestazione del reato presupposto (bancarotta) escludesse la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, in capo all’indagato, per reato di autoriciclaggio. A maggior ragione nel caso di specie, ove si configura un’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio. Lo stesso Tribunale, d’altra parte, aveva ammesso l’esistenza di opachi interessi tra contabile e dominus, sin dalla fase della bancarotta fraudolenta.
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