Per il riconoscimento dell’assegno divorzile, non si richiede che sia fornita dall'istante la ben difficile prova dell’inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro. L’assegno in questione ha indubbia natura assistenziale e deve quindi essere disposto in favore della parte che non disponga di redditi sufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa, pur dovendo essere contenuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo senza provocare illegittimi arricchimenti.
Sulla scorta di questo principio, respingendo il ricorso di un uomo, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, conferma il riconoscimento di un assegno mensile in favore della ex moglie a seguito di divorzio, sulla base di alcuni dati processuali incontestati. La donna difatti – rilevano gli ermellini - non gode di un impiego fisso e non beneficia, pur essendo assegnataria delle due figlie, nemmeno della casa coniugale, disponendo di un’abitazione messale a disposizione dai suoi genitori. Non risulta inoltre percepire un reddito regolare, mentre la sua titolarità di un quarto dell’immobile di cui per il resto è proprietario l’ex marito – pur essendo stata da quest’ultimo invocata nelle proprie difese – non fa che confermare lo squilibrio patrimoniale esistente tra le parti. La donna, infine, ha anche dichiarato (affermazione non contestata dal marito) di essersi impegnata a svolgere attività lavorativa, essendo stata impiegata presso un call center.
Per cui - conclude la Corte con sentenza n. 11538 dell'11 maggio 2017 – il modesto assegno mensile riconosciuto alla donna già dalla Corte d’appello, del cui versamento è stato onerato il marito (tra l’altro lavoratore dipendente e titolare di una buona entrata fissa), deve intendersi come mero contributo al mantenimento della ex moglie, che le è stato motivatamente riconosciuto tenuto conto delle complessive disponibilità economiche delle parti, in una misura che non appare inadeguata.
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