Appropriazione di somme del datore: licenziamento per giusta causa

Pubblicato il 27 settembre 2022

Confermato il licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore per essersi appropriato di denaro appartenente alla parte datoriale, una pubblica amministrazione.

Al dipendente era stato contestato di aver posto in essere condotte dolose di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Dopo che i giudici, di primo e secondo grado, avevano rigettato l'impugnativa del licenziamento avanzata dal prestatore, quest'ultimo si era rivolto alla Corte di legittimità denunciando, tra i motivi, violazione e falsa applicazione del CCNL applicabile, in relazione all’art. 2106, cod. civ., ed ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.

Il ricorrente, in particolare, dopo aver ripercorso la disposizione contrattuale e i fatti di causa, contestava il giudizio di proporzionalità operato dai giudici di merito, tenuto conto, in particolare, della intervenuta restituzione delle somme sottratte e della ragione che aveva dato luogo, secondo la sua difesa, alla sottrazione del denaro, ed ossia una grave patologia che richiedeva cure e interventi chirurgici all’estero.

Con sentenza n. 27132 del 14 settembre 2022, la Cassazione ha giudicato infondata la predetta doglianza, ricordando alcuni principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di recesso disciplinare per giusta causa.

Ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione - ha ricordato la Corte - è insufficiente un'indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato è riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l'irrogazione del licenziamento, "essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza".

Non è dunque vincolante, ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva di riferimento, atteso che il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice. 

L’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è incensurabile in sede di legittimità.

Nella vicenda di specie, la Corte d’Appello aveva effettuato il giudizio di proporzionalità, rilevando che al ricorrente erano state contestate condotte gravissime per un pubblico funzionario, vale a dire l’appropriazione serialmente perpetrata, nel corso di anni e anni, di risorse pubbliche altrimenti destinate al funzionamento della Pa.

Il giudice di appello ha preso in esame tale condotta, rilevando come la stessa fosse idonea a ledere il vincolo fiduciario. In relazione a ciò, erano irrilevanti le ragioni addotte dal lavoratore.

La Corte d'appello, in tale contesto, aveva fatto corretta applicazione dei principi relativi al vaglio di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata, di tal ché le sue conclusioni risultavano coerenti con le indicazioni contenute nel CCNL applicabile.

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