Una denuncia anonima non può essere posta a fondamento di atti tipici di indagine. Non è dunque possibile procedere a perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche, trattandosi di atti che presuppongono l’esistenza di indizi di reità.
Tuttavia gli elementi contenuti nelle denunce anonime possono stimolare l’iniziativa del pubblico ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili per l’individuazione della notitia criminis.
In applicazione di detto principio, la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha dichiarato la legittimità delle perquisizioni e del sequestro disposti nei confronti di un uomo indagato per aver postato sul web degli scritti diffamatori.
In particolare – come emerge nella sentenza n. 34450 del 5 agosto 2016 - le indagini in questione hanno avuto impulso da un “anonimo” e si sono sviluppate sull'analisi di numerosi post a contenuto diffamatorio anche nei confronti del Presidente della Repubblica, creati mediante account dell’indagato sul social Facebook.
E proprio per verificare la disponibilità dell’account, dal quale risultano inviati i messaggi diffamatori, sono stati sequestrati, dunque legittimamente, computer e telefono in uso all'indagato ed è stata effettuata una rogatoria internazionale.
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