Il frequente utilizzo di denaro contante può costituire un indicatore di sospetto sufficiente a giustificare l'obbligo di segnalazione da parte del professionista.
Questo anche prima delle modifiche introdotte dal Decreto legge n. 78 del 2010 all’art. 41 del Decreto legislativo n. 231 del 2007, normativa che recepisce le direttive europee in materia di prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.
Con ordinanza n. 29315 del 13 novembre 2024, la Corte di Cassazione, Seconda sezione civile, si è occupata di un caso di sanzione amministrativa inflitta a un professionista, un commercialista, per la mancata segnalazione di operazioni finanziarie sospette.
La vicenda trae origine da un procedimento avviato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che aveva contestato al professionista l'omessa segnalazione di attività anomale riferite alla gestione contabile di una ditta cliente nell'anno 2008.
Tali operazioni, caratterizzate da un ricorso frequente e non giustificato al contante, avevano un valore complessivo di circa 683.000 euro.
La Guardia di Finanza aveva riscontrato una serie di pagamenti frammentati, apparentemente privi di giustificazione economica e incoerenti rispetto alle finalità dichiarate dalla ditta.
In primo grado, il Tribunale aveva annullato la sanzione, ritenendo che la normativa vigente nel 2008 (articolo 41 del Decreto Legislativo n. 231/2007) non prevedesse ancora un obbligo chiaro di segnalazione per tali operazioni, obbligo introdotto solo con il Decreto Legge n. 78/2010.
Tuttavia, il Ministero dell'Economia e delle Finanze aveva impugnato tale decisione, ottenendo dalla Corte d'Appello una riforma della sentenza.
Quest'ultima aveva infatti stabilito che l'obbligo di segnalazione, pur non esplicitato nei termini introdotti dalla norma del 2010, fosse comunque già implicito nella normativa del 2007, la quale attribuiva ai professionisti la responsabilità di vigilare su operazioni che risultavano sospette.
Avverso la sentenza della Corte d'Appello, il professionista aveva presentato ricorso in Cassazione, articolando tre motivi principali.
Egli lamentava, anzitutto, una violazione di legge, sostenendo che l'obbligo di segnalazione delle operazioni in contenuto non fosse applicabile retroattivamente al periodo in esame.
Inoltre, contestava la ricostruzione fattuale operata dalla Corte d'Appello, che avrebbe, a suo dire, fondato la decisione su elementi non dedotti nel processo.
Infine, criticava la determinazione della sanzione, ritenendola eccessiva e non proporzionata alle circostanze del caso.
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d'Appello.
Per la Cassazione, il ricorso frequente al contante, anche prima delle modifiche introdotte nel 2010, poteva costituire un indicatore di sospetto sufficiente a giustificare l'obbligo di segnalazione da parte del professionista.
Difatti, il richiamato articolo 41 del Decreto Legislativo n. 231/2007, in vigore nel periodo considerato, già prevedeva obblighi generali di segnalazione per operazioni sospette, anche prima delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 78 del 2010.
La modifica normativa del 2010 - ha precisato la Corte - non ha introdotto una nuova fattispecie di illecito, ma ha specificato e rafforzato gli obblighi esistenti, rendendo obbligatoria la segnalazione di operazioni caratterizzate da un ricorso frequente o ingiustificato al contante.
In particolare, la novella legislativa ha eliminato la discrezionalità nell'individuazione di tali operazioni come sospette, prevedendo esplicitamente che il ricorso a pagamenti in contante, in determinate condizioni, costituisce di per sé un indicatore di sospetto.
Tra queste condizioni rientra il prelievo o il versamento in contante tramite intermediari finanziari per importi pari o superiori a 15.000 euro, anche quando tali operazioni non violino i limiti stabilità dall'articolo 49.
In sintesi, la modifica del 2010 ha codificato e chiarito un obbligo preesistente, specificando che operazioni in contante di natura anomala dovevano essere segnalate, confermando il principio di prevenzione che permea l'intero impianto normativo del Decreto Legislativo n. 231/2007.
La Corte d’Appello, in tale contesto, aveva correttamente motivato sia circa la punibilità della condotta ante riforma sia in ordine alle "caratteristiche, entità, natura" dell'operazione che, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui era riferita, inducevano a ritenere "che il danaro, i beni o le utilità oggetto" dell'operazione potessero "provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter c.p.".
Andava anche considerato che negli indicatori di anomalia dell’Ufficio italiano cambi fino al 2010 e anche il successivo DM 16 aprile 2010 del Ministero della Giustizia rivolto specificamente ai professionisti, era incluso un anomalo utilizzo del denaro contante tra le ipotesi che avrebbero dovuto indurre a sospettare dell’operazione.
La segnalazione, del resto, non è di per sé finalizzata a denunciare fatti penalmente rilevanti, ma è concepita come una comunicazione utile ad innescare eventuali indagini.
La Corte ha altresì stabilito che il giudice d'appello aveva correttamente esercitato il proprio potere di valutare l'intera vicenda nei limiti delle questioni sollevate, e che la sanzione era stata determinata in modo proporzionato, tenendo conto della gravità dei fatti e delle specifiche modalità dell'operazione.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la sanzione e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre a un ulteriore contributo unificato come previsto dalla normativa.
Sintesi del caso | Un professionista è stato sanzionato per omessa segnalazione di operazioni finanziarie sospette relative a una ditta cliente nel 2008. Le operazioni, per un totale di circa 683.000 euro, consistevano in pagamenti frazionati in contante, ritenuti anomali e incoerenti rispetto all'attività dichiarata. |
Questione dibattuta | Si discuteva se, prima delle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 78/2010, l’obbligo di segnalare operazioni in contante fosse già previsto dalla normativa del 2007 (articolo 41 del Decreto Legislativo n. 231/2007) o se tale obbligo fosse stato introdotto solo successivamente. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha stabilito che l’obbligo di segnalazione per operazioni sospette era già implicito nella normativa del 2007. La modifica normativa del 2010 ha solo chiarito e rafforzato tale obbligo. Il ricorso frequente e ingiustificato al contante era sufficiente a giustificare la segnalazione. |
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