La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11496 dello scorso 12 maggio 2010, rilascia un principio di indubbio interesse - senza precedenti - che completa l’argomento piuttosto vasto riguardante la circolazione dei beni oggetto di donazione.
Partendo da un caso specifico, riguardante un contenzioso fallimentare e non ereditario, la Corte si pronuncia al fine di rendere ancora più sicura la circolazione dei beni immobili oggetto di donazione, la cui regolazione è contenuta nell’articolo 563 del Codice civile (così come modificato dal Dl 35/2005 convertito dalla legge n. 80/2005).
Con la sentenza oggetto di analisi, i Supremi giudici accolgono e formalizzano quanto già da tempo era sostenuto dalla dottrina più autorevole.
Il principio in questione è quello secondo cui l’immobile oggetto di donazione “indiretta” (cioè tutti quegli atti che hanno la “sostanza” della donazione senza presentarne la “forma”: si pensi al caso in cui i genitori pagano il prezzo dell’immobile acquistato dal figlio oppure la cosiddetta vendita a prezzo “vile”), se è stato venduto dal donatario non può essere chiesto in restituzione dal legittimario del donante che lamenta la violazione della legittima. Questo perché le donazioni “indirette”, in caso di successiva vendita da parte del donatario, non sono riconoscibili dall’acquirente. Cioè: se era scontato che le cosiddette donazioni “dirette” (stipulate con atto notarile in cui è chiara la volontà del donante di beneficiare il donatario) sono soggette ad azione di riduzione/restituzione entro 20 anni dalla donazione o 10 anni dalla data di apertura della successione, salvo opposizione, (ai sensi dell’articolo 563 del C.c.), non era altrettanto chiaro che ciò valesse anche per le cosiddette donazioni “indirette”.
A tal scopo la Cassazione ha voluto ribadire che la riduzione delle donazioni indirette non mette in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano della circolazione dei beni.
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