Amministratore incassa da Srl in crisi? Bancarotta per distrazione

Pubblicato il 30 settembre 2020

Commette il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore, creditore nei confronti della società, che si appropri di somme per crediti vantati nei confronti della medesima compagine fallita.

Il reato in oggetto non è qualificabile come bancarotta preferenziale essendo impossibile scindere la qualità di creditore da quella di amministratore.

Amministratore anche creditore, bancarotta preferenziale?

E’ quanto evidenziato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 27132 del 29 settembre 2020, pronunciata in rigetto del ricorso promosso dall’amministratore unico di una Srl che era stato condannato, nel merito, per bancarotta fraudolenta distrattiva.

All’imputato, era stato contestato di aver deliberato e incassato, a proprio favore, compensi quale amministratore, in un periodo in cui la società aveva registrato rilevanti perdite ed un crescente indebitamento che l’avevano poi portata al fallimento.

L’uomo si era rivolto ai giudici di legittimità lamentando, tra gli altri motivi, un’inosservanza della legge penale per la mancata riqualificazione della condotta contestatagli nel reato di bancarotta preferenziale.

Nella sentenza impugnata, infatti, era stato affermato che l’inquadramento della condotta nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 216, comma 3 della Legge fallimentare (bancarotta preferenziale), sarebbe stato precluso in quanto il socio creditore era anche amministratore della società.

Secondo la difesa del ricorrente, invece, l’elemento caratterizzante la bancarotta preferenziale rispetto alla più grave ipotesi distrattiva era unicamente costituito dall’alterazione della par condicio, essendo irrilevante la specifica qualità rivestita dall’agente e la sua conoscenza dello stato di crisi della società.

Amministratore elude gli obblighi e aggrava il dissesto, condannato 

Assunto, questo, non condiviso dalla Corte di Piazza Cavour, la quale ha posto in particolare evidenza il fatto che, nella vicenda esaminata, la deliberazione degli emolumenti e la loro percezione da parte del socio amministratore unico, erano stati effettuati in un'epoca in cui erano già ravvisabili chiari segnali di allarme circa la grave crisi finanziaria della società.

L’amministratore aveva consapevolmente eluso gli obblighi imposti dalla legge a fronte della disgregazione del capitale sociale, avendo omesso di chiedere all'assemblea di deliberare l'aumento del capitale sociale o la messa in liquidazione della società.

Non solo. Egli aveva anche aggravato il dissesto deliberando in proprio favore compensi esorbitanti e percependo importi comunque ingenti e sproporzionati rispetto alla situazione economica in cui versava la società; aveva agito, inoltre, in totale spregio ai ripetuti moniti, rivoltogli dal collegio sindacale, finalizzati ad una gestione finanziaria più oculata e ad una contrazione delle spese, ivi comprese, appunto, quelle per il compenso da amministratore.

In considerazione di tale contesto, dunque, il pagamento degli emolumenti aveva assunto un significato diverso e più grave rispetto alla mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri.

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