Allucinazione da IA: no a lite temeraria per l’uso di ChatGPT in giudizio

Pubblicato il 27 marzo 2025

Con l’ordinanza del 17 marzo 2025, il Tribunale di Firenze ha fornito un primo orientamento giurisprudenziale sull’uso dell’intelligenza artificiale nei procedimenti giudiziari.

Nella predetta decisione, è stata sottolineata l’importanza del controllo umano sulle fonti fornite dall’IA e sono stati delimitati, al contempo, i confini della responsabilità processuale in caso di utilizzo improprio di tali strumenti.

IA e allucinazioni: esclusa responsabilità ex art. 96 c.p.c.

Il Tribunale, nel dettaglio, si è pronunciato in materia di responsabilità per uso non verificato dell’intelligenza artificiale (IA), nello specifico ChatGPT, nell'ambito di una causa riguardante la tutela dei marchi e del diritto d’autore.

Il giudizio riguardava un reclamo contro il sequestro di beni contraffatti.

Nel corso del procedimento, il legale della parte reclamata aveva presentato un atto contenente riferimenti giurisprudenziali che si erano poi rivelati del tutto inventati da ChatGPT.

L’IA, in particolare, aveva generato risultati errati, qualificati con il fenomeno delle cosiddette "allucinazioni di intelligenza artificiale", che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti che vengono confermati come veritieri.

In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale aveva inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione il cui contenuto non aveva nulla a che fare con l'argomento menzionato.

Tali errori, attribuiti a un utilizzo non verificato dell’IA da parte di una collaboratrice dello studio legale, avevano portato il reclamante, parte vittoriosa, a chiedere la condanna per responsabilità aggravata della controparte ai sensi dell’articolo 96 del Codice di procedura civile.

La reclamata, pur riconoscendo l’omesso controllo sui dati così ottenuti, aveva invece chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva.

Il rigetto della condanna per lite temeraria da parte del Tribunale

Il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta di condanna per lite temeraria.

L'organo giudicante, in particolare, ha dato prioritario rilievo al fatto che l’indicazione degli errati riferimenti giurisprudenziali era stata posta a fondamento della tesi sostenuta dalla parte fin dal primo grado del giudizio. Essa, ossia, non era finalizzata a influenzare il collegio, ma a rafforzare argomentazioni già note.

I requisiti probatori per la responsabilità ex art. 96, comma 1, c.p.c.

Il Tribunale ha quindi ricordato che l’applicazione del comma 1 dell’art. 96 del Codice di procedura civile, di natura extracontrattuale, richiede che la parte istante provi sia l’an sia il quantum del danno, oppure che tali elementi risultino chiaramente dagli atti di causa. Anche in presenza di una certa indeterminatezza degli effetti lesivi, è comunque necessaria almeno un’allegazione generica del danno subito.

Inammissibilità della domanda per assenza di allegazione del danno

Applicando tali principi, il Tribunale ha ritenuto inammissibile la richiesta di condanna, rilevando che il reclamante non aveva fornito alcuna allegazione, nemmeno in forma generica, circa i danni asseritamente derivanti dall’attività difensiva svolta dalla controparte.

Il giudice ha inoltre escluso l’applicabilità del comma 3 dell’art. 96 c.p.c., evidenziando che tale norma mira a prevenire l’abuso del processo e comportamenti contrari alla funzionalità del sistema giudiziario e al rispetto della legalità.

Tale fattispecie - si legge nella decisione - deve inoltre intendersi come species dei primi due commi, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall’abusività della condotta processuale.

Riconosciuto il disvalore, ma esclusa la mala fede difensiva

Pur riconoscendo il disvalore dell’omessa verifica dell’effettiva esistenza delle sentenze generate dall’intelligenza artificiale, il giudice ha considerato che la parte reclamata aveva sin dal primo grado basato la propria strategia difensiva sugli stessi argomenti.

Pertanto, l’inserimento degli estremi di legittimità nel giudizio di reclamo, inteso come ulteriore conferma della linea difensiva già delineata, doveva essere considerato alla stregua di un rafforzamento di un impianto argomentativo preesistente e non un tentativo di resistere in giudizio con malafede.

Ne derivava l’inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 96 del Codice di procedura civile.

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