Affinché l'Amministrazione finanziaria possa applicare correttamente le procedure di accertamento, analitico o induttivo, relative al reddito d’impresa di un soggetto controllato è necessario che l’attività svolta dal contribuente risulti produttiva di un tale reddito.
Dunque, l'Irpef e l'Iva non possono essere accertate sulla base di semplici presunzioni, ma è necessario che venga provata l’abitualità della professione, dal momento che questa costituisce il presupposto per la produzione e l’accertamento del reddito d’impresa.
Lo chiarisce la Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 8982 del 6 aprile 2017, con la quale è stato accolto il ricorso di un uomo che aveva ricevuto un atto impositivo in cui il Fisco gli aveva conteggiato una maggiore Irpef e Iva in relazione alla vendita di tre immobili, dei quali era stato chiesto il cambio di destinazione d’uso e poi era stata eseguita la ristrutturazione.
Il contribuente ricorre in Cassazione per lamentare che le modalità di accertamento utilizzate dall’Agenzia delle Entrate, e la conseguente applicazione delle relative presunzioni, non si potevano applicare ad un soggetto non imprenditore.
L'Agenzia dal suo canto, invece, aveva operato le rettifiche basandosi esclusivamente sulla vendita di tre immobili in un anno da parte del soggetto controllato, ritenendo il fatto sufficiente per dimostrare lo svolgimento di attività di impresa.
La Cassazione nell'ordinaza n. 8982/2017 accoglie il ricorso del contribuente e ribadisce che la sola vendita di alcuni immobili non qualifica il soggetto come imprenditore edile. Tale attività di vendita non può essere classificata come un’attività economica produttiva di un reddito d’impresa e qualificabile come esercizio di impresa ai fini delle impose dirette e Iva. Pertanto, non esiste il presupposto necessario all’applicabilità delle procedure di accertamento.
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