WhatsApp fa prova a pieno titolo; infatti, recentemente la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 3745 del 10 maggio 2018, ha riconosciuto non sussistente la prova di un licenziamento verbale, quindi la conseguente richiesta di reintegra e risarcimento del danno, presentata da un lavoratore il quale in ben 2 messaggi inviati con WhatsApp al legale rappresentante aveva espresso la volontà di recedere dal rapporto di lavoro in essere, ritenendolo insoddisfacente.
D’altra parte, nel caso di specie, nessun testimone aveva dichiarato di avere assistito personalmente ad un dialogo qualificabile come “licenziamento verbale”.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".