Con sentenza n. 2702 depositata il 21 gennaio 2016, la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha confermato la responsabilità penale per estorsione di un’imputata, per aver minacciato una “cliente” (a cui cedeva droga) di rivelare fatti in grado di danneggiare la propria famiglia, se non le avesse ceduto del denaro.
Le censure della ricorrente avverso la propria condanna, vertevano in particolare sull'inidoneità della minaccia contestata ad avere una concreta efficacia coercitiva sulla vittima in questione.
Ma sul punto la Suprema Corte ha ribattuto che detta idoneità coercitiva deve essere valutata, nel merito, non solo in base alla circostanza oggettiva del comportamento, ma anche in base alla capacità dello stesso di influire sulla volontà della vittima.
E l’idoneità soggettiva della minaccia dipende proprio dalla vulnerabilità della vittima, i cui indici sono rilevabili con chiarezza dalla Direttiva 2012/29 UE che, agli artt. 22 e ss., fornisce delle indicazioni agli Stati per assicurare una protezione adeguata alle vittime di reato, con specifico riguardo a quelle che presentano dei profili di vulnerabilità.
La presente Direttiva prevede infatti che la valutazione della vulnerabilità debba essere effettuata in relazione alle caratteristiche specifiche della vittima, alla natura ed alle circostanze del reato.
Per cui, tanto più marcata è la vulnerabilità, maggiore sarà la potenzialità coercitiva di comportamenti anche “velatamente” – e non apertamente - minacciosi.
Nel caso di specie la Corte territoriale aveva evidenziato come il testo delle lettere trasmesse dall'imputata avesse effettivamente un contenuto intimidatorio, anche tenuto conto dello stato di vulnerabilità della vittima in questione, affetta da “depressione nevrotica, disturbo della personalità borderline e abuso alcoolico”.
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