Per la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia è responsabile per non aver protetto una madre contro le violenze domestiche esercitate da suo marito, violenze che avevano determinato la morte del figlio della coppia e un tentativo di omicidio nei confronti della donna.
Secondo la Corte, le autorità italiane, con la loro inerzia, avrebbero creato un contesto d’impunità favorevole alla reiterazione degli atti di violenza che avevano condotto, come ricordato, alla morte e al tentativo di omicidio in questione.
La ricorrente – è stato riconosciuto - era stata vittima di una discriminazione, in quanto donna, in ragione dell’inattività delle autorità che, sottovalutando le violenze in questa vicenda, le avevano in sostanza permesse.
Sono le conclusioni rese dalla Corte Edu nella sentenza relativa alla causa Talpis contro Italia, ricorso n. 41237/14, e con la quale sono state riscontrate, a carico del nostro Paese:
Le autorità nazionali – per i giudici europei - non agendo rapidamente dopo il deposito della denuncia da parte della signora Talpis, avevano creato un ambiente di impunità che aveva portato alla ripetizione di atti di violenza, al tentato omicidio della signora e alla morte del figlio.
Gli organi preposti avevano, in sostanza, fallito nel loro compito di proteggere la vita di coloro che erano coinvolti nella vicenda.
La signora Talpis, infatti, aveva vissuto con i suoi figli in un clima di seria violenza a fronte del quale le autorità nazionali avevano condotto procedimenti penali con una “passività giudiziaria” in contrasto con l'articolo 3 della Cedu.
In definitiva, l’Italia è stata condannata a versare alla ricorrente 30mila euro a titolo di danno morale e 10mila euro per costi e spese legali.
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