Violazione quarantena Covid: non così grave da giustificare il licenziamento

Pubblicato il 11 febbraio 2025

Licenziamento e violazione della quarantena: la Cassazione conferma l’illegittimità  

Con la sentenza n. 3043 del 7 febbraio 2025, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è espressa su un caso di licenziamento disciplinare, derivante dalla contestazione di una violazione delle normative emergenziali per il contenimento della diffusione del Coronavirus (Covid-19).

La controversia era già stata esaminata dalla Corte d'Appello, che aveva confermato l'illegittimità del licenziamento, dichiarando la risoluzione del rapporto di lavoro e imponendo al datore di lavoro il pagamento di un’indennità risarcitoria.

I fatti alla base del licenziamento  

Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il lavoratore aveva ripreso servizio nei primi giorni di agosto 2020, nonostante fosse soggetto a un periodo di quarantena obbligatoria.

Il datore di lavoro aveva ritenuto che tale condotta fosse di gravità sufficiente a giustificare il licenziamento per giusta causa.

Tuttavia, la Corte d'Appello aveva escluso che la violazione delle disposizioni sanitarie fosse tale da legittimare una sanzione espulsiva.

Il ricorso in Cassazione e le censure sollevate  

Il datore di lavoro ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello, articolando diversi motivi di ricorso.

Da un lato, ha contestato la valutazione della gravità della condotta del dipendente, ritenendo che i giudici di merito non avessero correttamente applicato le norme disciplinari.

Dall’altro, ha sollevato questioni in merito al requisito dimensionale dell’azienda, sostenendo che la documentazione prodotta fosse sufficiente a dimostrare un numero di dipendenti inferiore alla soglia necessaria per l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Le motivazioni della Corte di Cassazione  

Nel pronunciarsi sul ricorso, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondate tutte le censure avanzate dal datore di lavoro.

In merito alla gravità della condotta, ha ribadito che la valutazione della proporzionalità della sanzione disciplinare spetta esclusivamente al giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, se non in presenza di vizi evidenti nella motivazione, che in questo caso non sussistevano.

Per quanto riguarda il requisito dimensionale dell’impresa, la Corte ha confermato l’interpretazione della Corte d’Appello, sottolineando che la valutazione non può limitarsi ai soli mesi precedenti il licenziamento, specialmente in un contesto eccezionale come quello della crisi pandemica.

Conclusioni e condanna alle spese  

La Cassazione ha dunque rigettato integralmente il ricorso, confermando l’illegittimità del licenziamento. Il datore di lavoro è stato condannato al pagamento delle spese processuali e dell’ulteriore contributo unificato, come previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del caso Un lavoratore è stato licenziato per aver violato la quarantena obbligatoria nel 2020, presentandosi al lavoro nonostante le restrizioni sanitarie. La Corte d'Appello ha dichiarato illegittimo il licenziamento e ha condannato il datore di lavoro a un’indennità risarcitoria.
Questione dibattuta Il datore di lavoro ha impugnato la decisione della Corte d’Appello, contestando la valutazione della gravità della condotta del dipendente e sollevando dubbi sulla sussistenza del requisito dimensionale per l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Soluzione della Corte di Cassazione La Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la valutazione della proporzionalità della sanzione disciplinare spetta ai giudici di merito e non può essere rivista in sede di legittimità. Ha inoltre confermato che il requisito dimensionale dell’impresa non poteva essere valutato solo sui mesi immediatamente precedenti il licenziamento, specialmente in un periodo eccezionale come la pandemia.
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