Ai fini dell’imposta di registro, l’interpretazione degli atti presentati alla registrazione deve avvenire solo in base al loro contenuto, senza fare riferimento ad atti collegati o ad elementi extratestuali.
Il legislatore, in materia, con un intervento ritenuto conforme ai parametri costituzionali, ha voluto imporre un’interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata solamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposta a registrazione, quale risulta dallo scritto.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 31001 del 2 novembre 2021, richiamando quanto precisato dalla più recente giurisprudenza in tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 131/1986, nella formulazione successiva alla Legge n. 205/2017 che, secondo l’art. 1, comma 1084 della Legge n. 145/2018, ne ha fornito un’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale nn. 158/2020 e n. 39/2021.
In particolare, è stato ritenuto che l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione è legittima solo se operata “ab intrinseco”, vale a dire senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto.
La vicenda sottoposta al vaglio della Suprema corte, in particolare, riguardava l’avviso di liquidazione per il recupero a tassazione dell’imposta di registro proporzionale notificato a tre società in relazione a una riqualificazione, come cessione d’azienda, dei negozi di cessione di quote e conferimento di ramo d’azienda posti in essere tra le parti, considerati dal Fisco come momenti di un’unica operazione.
Avviso rispetto al quale i giudici di merito avevano accolto l’impugnazione delle società contribuenti sul rilievo dell’illegittima applicazione dell’art. 20 del DPR n. 131, con sentenza ora confermata anche dalla Corte di legittimità.
Nel caso in esame, infatti, la cessione di quote sociali preceduta dal conferimento di ramo d’azienda non poteva essere riqualificata come cessione d’azienda e assoggettata alla relativa impugnazione, dovendosi ritenere impedita all’Ufficio finanziario la riqualificazione di un unico negozio, come di più o meno articolate sequenze negoziali, sulla base della valorizzazione di elementi extratestuali.
Inoltre, non poteva dirsi che la riqualificazione operata dall’Amministrazione fosse diretta di per sé a far rilevare una forma di abuso del diritto o di elusione fiscale, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare.
In tali casi – ha concluso la Cassazione – l’azione accertatrice si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto, a pena di nullità, da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine. Il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.
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