L’obbligo di vaccinazione anti-covid per il personale sanitario non è irragionevole né sproporzionato se lo scopo è quello di prevenire la diffusione del virus e salvaguardare la funzionalità del sistema sanitario; tale obbligo, peraltro, non può essere sostituito dalla misura del tampone ai fini della prevenzione dall’infezione da SARS-CoV-2.
E' quanto puntualizzato dalla Consulta nel testo delle sentenze nn. 14 e 15 depositate il 9 febbraio 2023, con cui ha giudicato infondate alcune questioni di legittimità costituzionale, rispettivamente sollevate dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana e dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova.
Con la prima delle due sentenze (n. 14/2023) - il cui esito era stato già anticipato in un comunicato del 1° dicembre 2022 - la Corte ha rigettato le censure che il giudice rimettente aveva rivolto all’art. 4, commi 1 e 2, del Dl n. 44/2021, nella parte in cui si prevede, da un lato, l’obbligo vaccinale per la prevenzione del Coronavirus per il personale sanitario e, dall’altro lato, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie in caso di inadempimento dello stesso.
I giudici costituzionali, in particolare, hanno ritenuto evidente, in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo di vaccinazione rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso.
Ciò, a fronte di un virus come quello in esame, "respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque”, peraltro caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio.
In tale contesto, il rischio remoto, non eliminabile, che si possano verificare eventi avversi anche gravi sulla salute del singolo, non renderebbe, di per sé, costituzionalmente illegittima la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio, che può costituire, semmai, titolo all’indennizzo.
Con la seconda decisione (n. 15/2023), la Corte costituzionale ha invece considerato che la previsione dell'obbligo di vaccinazione al posto di quello di sottoporsi ai relativi test diagnostici (cosiddetto tampone), non rappresenta, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili.
Non irragionevole, in particolare, è stato giudicato il bilanciamento operato dalla normativa censurata tra il diritto alla libertà di cura del singolo e l’interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione.
In tale contesto, inoltre, il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione della circolazione del virus.
Per finire, si segnala un'ulteriore pronuncia della Corte costituzionale - la n. 16/2023 depositata sempre ieri, 9 febbraio - con cui è stata giudicata inammissibile la questione di legittimità promossa dal Tar della Lombardia nei confronti della normativa emergenziale Covid, nella parte in cui, in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio della professione sanitaria non viene limitata a quelle sole prestazioni o mansioni che implicano contatti personali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del Covid-19.
L’esame nel merito delle questioni, in questo caso, è stato ritenuto precluso dall'assorbente profilo di inammissibilità delle medesime, legato al difetto di giurisdizione del giudice rimettente rispetto alla controversia di specie, relativa alla sospensione dall’esercizio della professione sanitaria di una psicologa.
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