Va al Fisco l’onere di dimostrare l’utilizzo di fatture false

Pubblicato il 11 aprile 2011 Una società contribuente, sulla scia di un Pvc emesso a conclusione di un’azione di accertamento, proponeva ricorso contro un’altra società, usata come “filtro” per gli acquisti in nero. L’accusa del Fisco era di aver utilizzato la copertura cartolare di una società filtro, che aveva avuto rapporti con soggetti terzi, per coprire i suddetti acquisti irregolari.

Nei primi due gradi di giudizio, la Ctr Lombardia sosteneva che era difficile individuare i criteri che avevano portato a far considerare fittizie alcune compravendite materiali piuttosto che altre, così come non era facile dimostrare come la prima società svolgesse il ruolo di società filtro per gli acquisti in nero della contribuente. La difesa dell’Agenzia si incentrava sul fatto che le accuse mosse erano semplice presunzioni, o meglio presunzioni a cascata.

L’agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 6943/2011, respingeva il ricorso, ribadendo che: “grava previamente sull’amministrazione l’onere di fornire elementi di prova a sostegno dell’affermazione che le operazioni, oggetto delle esposte fatture, in realtà non sono state mai poste in essere”.

Solo dopo aver fornito validi elementi a supporto di tale tesi, l’onere della prova di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate passa al contribuente. Infatti, solo in un secondo momento, “il giudice tributario, qualora possa ritenere tali elementi dotati di gravità, precisione e concordanza, è tenuto a dare ingresso alla valutazione della prova contraria di cui è onerato il contribuente”.

Dunque, spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’utilizzo di fatture fittizie e, solo in seconda battuta, il contribuente può essere chiamato a fornire le ragioni contrarie.
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