Per affermare la legittimità di un licenziamento per uso improprio degli strumenti aziendali, come il PC e la rete internet, occorre un'analisi attenta della gravità dell'infrazione e della proporzionalità della sanzione.
In base a due recenti ordinanze (7825/2025 e 8943/2025), la Corte di Cassazione ha precisato che il licenziamento per giusta causa è valido solo se la violazione delle normative aziendali è tale da compromettere irreversibilmente il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente.
Nel primo caso, oggetto dell'ordinanza n. 7825 del 24 marzo 2025, la Corte ha esaminato il licenziamento di un dipendente accusato di utilizzare il PC aziendale per fini personali, in violazione delle disposizioni aziendali. La Corte d'Appello, pur riconoscendo la violazione, ha ritenuto che la condotta del lavoratore non fosse tale da giustificare un licenziamento per giusta causa.
In particolare, la Corte territoriale ha sottolineato che la gravità dell'infrazione non comprometteva irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra le parti.
La Corte ha applicato le disposizioni dell'articolo 18, comma 5, della Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), che protegge il lavoratore dal licenziamento ingiustificato quando la sanzione appare sproporzionata rispetto all'infrazione.
La Cassazione ha confermato questa decisione, considerando che l'addebito non avesse la gravità necessaria a giustificare il licenziamento per giusta causa.
In particolare, sono stati presi in considerazione il numero limitato delle violazioni (due episodi simili) e la mancanza di effetti dannosi significativi sui dati aziendali: andava escluso, ciò posto, che la condotta potesse compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra le parti.
Il secondo caso, oggetto dell'ordinanza n. 8943 del 4 aprile 2025, riguarda un licenziamento per uso improprio della rete internet aziendale. Il dipendente era accusato di aver utilizzato internet per fini personali durante l'orario di lavoro.
La Corte d'Appello aveva respinto il reclamo dell'azienda, che aveva impugnato la sentenza di primo grado dichiarando illegittimo il licenziamento.
La Corte ha evidenziato la mancanza di prove adeguate da parte dell'azienda, che non era riuscita a dimostrare la durata e la sistematicità dell'uso improprio della rete. La relazione tecnica fornita dall'azienda, pur riportando gli orari di accesso a internet, non era sufficientemente dettagliata per determinare con certezza la durata media giornaliera della navigazione.
La Corte territoriale ha pertanto confermato che la sanzione era sproporzionata, in quanto non c'era prova adeguata di una condotta gravemente lesiva.
Anche la Cassazione ha aderito a questa decisione, sottolineando che l'onere della prova non era stato soddisfatto, invalidando la contestazione disciplinare.
Entrambe le sentenze ribadiscono due concetti fondamentali nella disciplina dei licenziamenti: proporzionalità della sanzione e onere della prova a carico del datore di lavoro.
Proporzionalità: Il licenziamento per giusta causa è giustificato solo quando l'infrazione è tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra le parti. La semplice violazione delle normative aziendali, senza ulteriori gravità o danni, non giustifica un provvedimento così severo.
Onere della prova: In entrambi i casi, la Corte ha sottolineato che spetta al datore di lavoro fornire prove concrete e dettagliate per giustificare il licenziamento. La sola esistenza di una violazione delle norme aziendali non è sufficiente; è necessaria una prova adeguata della frequenza e dell'entità dell'infrazione.
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