Inibitoria contro Anatocismo

Pubblicato il 25 maggio 2016

Cassazione: legittimo provvedimento inibitorio a tutela interessi collettivi

Il giudice, a seguito di azione proposta da un’associazione dei consumatori a tutela e nell’interesse di questi ultimi, può inibire alla banca di opporre alla generalità dei propri clienti un rifiuto al riconoscimento del diritto di ottenere la restituzione delle somme indebitamente percepite con la capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Una statuizione di tal genere non significa altro che ordinare all’istituto di credito di porre termine a un esistente comportamento illecito e ciò è coerente con le richieste che le associazioni dei consumatori sono legittimate a rivolgere all’organo giudicante, a tutela del loro interesse collettivo alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi.

E’ infatti vero che se il concetto di inibitoria potrebbe evocare l’idea di una condotta avente carattere negativo, un “non facere”, non può dubitarsi che, nell’ipotesi in cui la violazione dei diritti dei consumatori e degli utenti sia attuata con una condotta omissiva – mediante, ossia, il rifiuto di riconoscere un diritto -, l’imposizione di “fare” costituisce uno strumento necessario e consentito ai sensi dell’articolo 3 della Legge n. 281/1998.

Ai sensi di questa ultima disposizione, difatti, il giudice può sia inibire gli atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori, sia adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate.

Trattasi di una statuizione a tutela degli interessi collettivi, che non implica un positivo riconoscimento dei diritti dei singoli clienti, da perseguire, eventualmente, nell’ambito di giudizi individuali, aventi ad oggetto specifici rapporti contrattuali con essi.

Diritto banca di difendersi nei giudizi individuali

E’ quanto evidenziato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 10713 del 24 maggio 2016.

Nel caso specificamente esaminato, un istituto di credito aveva avanzato ricorso avverso la decisione di merito con cui, dietro istanza avanzata dal Codacons, le era stata inibita la prosecuzione del comportamento ritenuto “illecito” di continuare a rifiutare di restituire alla propria clientela le somme indebitamente percepite, dall’inizio di ogni rapporto fino al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della delibera CIRC del 9 febbraio 2000), in applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.

Nel testo della sentenza di legittimità, la Suprema corte ha precisato che la decisione impugnata produce effetto solo tra le parti del giudizio, vale a dire tra la banca e la collettività dei suoi clienti, quanto all’affermazione del loro diritto ad ottenere una diversa quantificazione degli interessi.

La stessa – è stato altresì puntualizzato – non pregiudica, tuttavia, il diritto dell’istituto di credito di difendersi nei successivi ed eventuali giudizi individuali che i singoli clienti potranno promuovere a tutela dei loro interessi individuali.

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