La Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 19 aprile 2018, relativa alla causa C-580/16, fornisce una propria interpretazione dell'articolo 141 della Direttiva Iva in materia di operazioni intracomunitarie (cosiddette operazioni triangolari), vista la necessità di consolidare negli ordinamenti degli Stati membri la disciplina sulla corretta tassazione degli scambi interni all’Unione europea.
Una società tedesca identificata ai fini Iva anche in Austria aveva acquistato da fornitori stabiliti in Germania prodotti poi rivenduti a un cliente stabilito ai fini Iva nella Repubblica Ceca. I fornitori tedeschi riportavano sulle proprie fatture il numero identificativo Iva austriaco del promotore della triangolazione, che, a sua volta, inviava al cliente ceco fatture recanti il numero di partita Iva ottenuto in Austria.
La società, nel periodo in cui erano state effettuale le suddette operazioni, aveva presentato gli INTRASTAT non indicando, erroneamente, la natura “triangolare” delle operazioni e, solo in un secondo momento, aveva depositato le dichiarazioni corrette. L’Amministrazione finanziaria austriaca, anche in ragione delle errate comunicazioni INTRASTAT, considerava che gli acquisti dovessero essere assoggettati ad Iva in Austria, avendo la società acquirente utilizzato un numero identificativo di tale Stato.
Il giudice nazionale si è rivolto alla Corte di giustizia per sapere se la condizione prevista dall'art. 141, lett. c), della direttiva, debba considerarsi sussistente nel caso in cui il promotore della triangolazione risieda e sia identificato ai fini Iva nello stesso Stato membro dal quale i beni provengono, anche se utilizza, ai fini dell'acquisto intracomunitario, un numero di identificazione Iva di un altro Stato membro.
La Corte Ue, nella sentenza del 19 aprile 2018, specifica che il disposto letterale dell’articolo 141, lettera c) della direttiva Iva deve essere calato all’interno della fattispecie in esame e applicato tenendo conto degli scopi perseguiti dal diritto dell’Unione europea.
Alla luce di ciò, pertanto, la semplificazione di cui al suddetto articolo può essere applicata anche quando il primo cessionario risiede ed è identificato ai fini Iva nello Stato membro dal quale i beni sono spediti o trasportati, ma utilizza - ai fini dell’acquisto intraUe - un numero di identificazione Iva di un altro Stato membro (diverso da quello di arrivo e di partenza delle merci). Si ritiene che l’operazione rientri, comunque, nell’ambito della triangolazione comunitaria che consente di “saltare” la tassazione dell'acquisto intracomunitario ed assoggettare all'Iva soltanto la cessione all'acquirente finale nel Paese di destinazione dei beni.
Una diversa interpretazione della norma - secondo i Giudici Ue - limiterebbe, ingiustificatamente, la libertà di esercizio delle attività economiche dei soggetti passivi sulla base delle loro identificazioni ai fini IVA.
Inoltre, gli stessi specificano che è irrilevante la circostanza che i modelli INTRASTAT (nei quali sono segnalate le operazioni) siano stati presentati in ritardo e che, ormai, il numero di partita Iva utilizzato non risulti più attivo.
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