Nel caso di trasformazione di più contratti a tempo determinato in un unico rapporto ab origine a tempo indeterminato, per effetto dell'illegittimità del termine apposto, gli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro rapporto a tempo determinato, non implicano il diritto alla retribuzione.
Il principio, ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 8 ottobre 2020, n. 21747, conferma i precedenti orientamenti giurisprudenziali che escludono il diritto alla retribuzione nei periodi in cui il lavoratore non ha prestato la propria attività lavorativa durante la successione di contratti a termine, ancorché successivamente trasformati ab origine in un unico rapporto a tempo indeterminato.
Invero, atteso che tra l'uno e l'altro rapporto a tempo determinato il lavoratore non si è obbligato a prestare la propria opera ovvero a tenersi disponibile per effettuarla, i periodi di non lavoro sono esclusi dal diritto alla percezione del trattamento economico e dal calcolo dell'anzianità di servizio.
Nella fattispecie, il suddetto principio, applicabile anche nella sfera del diritto privato, trova a maggior ragione fondamento nell'impiego pubblico contrattualizzato nel quale opera l'impossibilità giuridica di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato con conseguente impossibilità di pretese retributive avanzate dal lavoratore per i periodi di inattività.
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