La Commissione tributaria regionale del Piemonte, con la sentenza n. 25/34/2010, ha rilasciato alcune importanti indicazioni in tema di transfer pricing.
Sull’argomento è bene ricordare che ci sono a disposizione del contribuente e dell’Amministrazione finanziaria metodi diversi per effettuare il controllo dei corrispettivi applicati alle operazioni commerciali o finanziarie intercorse tra società controllate o collegate residenti in nazioni diverse, al fine di verificare che non vi siano aggiustamenti artificiali dei suddetti prezzi. Il tutto perché nell’ambito dei rapporti infragruppo potrebbero sorgere manovre elusive, che in un’ottica di riduzione del carico fiscale dell’intero gruppo societario spingerebbero le imprese a concentrare l’imponibile nei paesi a più bassa fiscalità.
Nell’ambito del transfer pricing, dunque, i prezzi delle transazioni infragruppo vengono determinati sulla base di parametri di valutazione che rispecchiano le esigenze generali del gruppo multinazionale. Immediata conseguenza di tutto ciò è che le amministrazioni fiscali dei vari paesi devono porre in essere un’attenta azione di controllo delle operazioni tra soggetti non indipendenti, allo scopo proprio di evitare l’elusione della base imponibile.
Il metodo da preferire al fine di verificare la congruità del valore di mercato delle suddette operazioni intercompany è quello cosiddetto Cup: “comparable uncontrolled price”. Si tratta, infatti, del metodo più diretto che si basa proprio sul confronto tra il prezzo della transazione che si sta esaminando con quello che verrebbe applicato nelle transazioni comparabili tra imprese indipendenti. Ovviamente nell’applicare il suddetto metodo non si può prescindere da un’analisi anche delle caratteristiche dei beni e dei servizi oggetto dell’operazione. Per poter effettuare un confronto tra i prezzi è necessario che anche i prodotti presi a raffronto presentino caratteristiche comparabili.
Con la pronuncia in oggetto, anche i giudici piemontesi ribadiscono la necessità del rispetto dei canoni prescritti dalle linee guida Ocse sul transfer pricing (versione del 1995), per cui deve esserci il massimo grado di similarità tra i beni i cui prezzi sono oggetto di confronto.
Nel caso esaminato dalla sentenza, invece, i prezzi riguardavano prodotti con caratteristiche diverse e con un differente posizionamento di mercato, così che non potevano essere messi direttamente a confronto. Da ciò, ne deriva che la stessa Amministrazione finanziaria aveva preso in esame beni con composizione chimica differente senza indicare l’effettiva incidenza che tale differenza avrebbe comportato nella determinazione del costo di produzione e, di conseguenza, nel prezzo di vendita. Accolta, quindi, la conferma delle ragioni della società resistente.
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