Gamma conclude con Tizio un contratto a termine della durata di sei mesi. Alla scadenza del contratto, e durante la decorrenza del periodo di intervallo di cui all’art. 5 comma 3 D.lgs. n. 368/01, Tizio viene assunto dalla Agenzia Interinale Beta la quale, su richiesta di Gamma, invia in missione presso quest’ultima Tizio. Il contratto di somministrazione viene concluso prima che finisca il periodo di intervallo relativo al contratto a termine di sei mesi stipulato tra Gamma e Tizio. È legittimo l’operato di Gamma?
Premessa
Gli interventi di riforma del contratto a termine hanno interessato, tra l’altro, anche la disciplina che riguarda i limiti che temporalmente circoscrivono la facoltà per la stipulazione del contratto. Così alle significative modifiche anti abusive apportate alla disciplina che concerne gli intervalli temporali che devono intercorrere tra un contratto a termine e quello successivo, si contrappone l’immutabilità della soglia di trentasei mesi, quale limite temporale massimo, superato il quale non è più possibile procedere all’assunzione dello stesso lavoratore mediante contratto a termine. Nel computo di quest’ultimo periodo l’art. 5, comma 4 bis, del D.lgs. n. 368/01 e succ. mod. e integr. ha disposto che occorre considerare anche i periodi in cui il datore di lavoro ha fruito della prestazione del lavoratore inviato in missione, per l’espletamento di mansioni equivalenti, da parte dell’Agenzia di lavoro. In tale prospettiva il contratto a tempo determinato è stato assimilato alla somministrazione a tempo determinato. Resta ora da verificare se tale assimilazione valga ai soli fini del computo dei trentasei mesi ovvero si attagli anche rispetto alla disciplina degli intervalli di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368 cit.
I limiti temporali all’impiego del contratto a termine
Gli intervalli nella successione dei contratti
Pregiudizialmente pare opportuno richiamare sinteticamente l’attuale regolamentazione sugli intervalli temporali che debbono intercorrere tra un contratto a termine e quello successivo.
La versione attuale dell’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368 cit. dispone che nella successione di contratti a termine stipulati tra i medesimi soggetti debbono essere osservati stacchi temporali pari a:
sessanta giorni se il contratto ha durata inferiore a sei mesi;
novanta giorni se il contratto ha durata superiore a sei mesi.
La contrattazione collettiva è legittimata a ridurre i periodi di stacco rispettivamente fino venti e trenta giorni al ricorrere di predeterminate causali, tra le quali sono state inserite le attività stagionali previste dal D.P.R. n. 1525/63. Il mancato intervento della contrattazione collettiva nel termine massimo di dodici mesi dall’entrata in vigore della riforma (scadenza pertanto fissata al 28 luglio 2013), è surrogato dall’intervento specificativo del Ministero del Lavoro, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La disposizione, maturata con interventi a “singhiozzo”, non brilla per coerenza giacché la parte finale, in cui vengono legittimati i contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a individuare diverse e ulteriori ipotesi di riduzione degli intervalli rispetto a quelle legate ai processi organizzati, sembra smentire proprio la necessità del ricorrere delle causali occorrenti per l’intervento derogatorio.
Il termine massimo di trentasei mesi
Per quanto riguarda infine la disciplina sul limite massimo all’impiego del contratto a termine, viene confermata l’impostazione per cui la successione dei rapporti termini, conclusi tra medesimi soggetti per l’espletamento di mansioni equivalenti, non può superare la soglia temporale dei trentasei mesi, termine anch’esso derogabile dalla contrattazione collettiva. Nel computo rientrano le proroghe, i rinnovi e i periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro. La novità di rilievo invece è rappresentata dal fatto che nel limite di trentasei mesi occorre considerare anche i periodi di somministrazione a tempo determinato svolti tra le medesime parti per l’espletamento di mansioni equivalenti rispetto a quelle che hanno formato oggetto dei contratti a termine. Ergo somministrazione lavoro e contratto a tempo determinato, pur disciplinati da normative ontologicamente distinte, sono pertanto assimilabili ai fini del computo del termine massimo di trentasei mesi di cui all’art. 5, comma 4 bis, del D.lgs. n. 368 cit., decorso il quale tuttavia il Ministero del Lavoro ha riconosciuto la possibilità per l’impresa di continuare ad avvalersi dell’opera del prestatore mediante il ricorso alla somministrazione a termine, fatte salve, s’intende, le eventuali disposizioni limitatrici introdotte dalla contrattazione collettiva.
Il regime sanzionatorio
Per quanto riguarda invece il regime sanzionatorio, questo non ha subito mutamenti di rilievo nel senso che viene confermata la conversione del contratto a termine in contratto a tempo determinato qualora risultino stipulati contratti a termine in violazione degli intervalli temporali. Al riguardo occorre distinguere l’ipotesi in cui la seconda assunzione a termine sia temporalmente discontinua, ma risulti eseguita in anticipo rispetto alla scadenza del termine di intervallo, da quella in cui i contratti si succedano senza soluzione di continuità. Nel primo caso la conversione colpisce il secondo contratto, mentre nell’altra ipotesi il regime è più severo in quanto “il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”. Laddove invece sia stata superata la soglia dei trentasei mesi, la conversione opera alla scadenza di detto periodo temporale.
L’eventuale ammissibilità della somministrazione a termine durante la decorrenza degli intervalli temporali
Così ricostruito il quadro normativo, si tratta ora di verificare se una volta concluso il contratto a termine, l’impresa possa impiegare il medesimo lavoratore, per l’espletamento di mansioni equivalenti, facendo ricorso all’istituto della somministrazione di lavoro a tempo determinato, senza attendere il decorso dei periodi di intervallo.
Sul presupposto che il concetto di equivalenza di mansioni rileva sul piano della professionalità, nel senso che si considerano equivalenti non le mansioni ricomprese nella stessa qualifica o livello contrattuale, ma quelle che richiedono “l’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore inteso come bagaglio di esperienze e competenze maturate”, si possono individuare due indirizzi interpretativi in ordine alla questione sopra esposta.
La tesi che ritiene ammissibile il ricorso alla somministrazione durante la decorrenza degli intervalli temporali
Una prima prospettazione, muovendo dal dato letterale e sistematico, ritiene ammissibile la possibilità di ricorrere alla somministrazione a termine del lavoratore nello spazio di intervallo tra un contratto a tempo determinato e quello successivo, fermo restando l’impiego della somministrazione nei limiti massimi consentiti dai contratti collettivi. Sul punto si rileva che se il Legislatore avesse voluto precludere la possibilità di utilizzare il lavoratore, durante la decorrenza del periodo di intervallo tra un contratto a termine e quello successivo, mediante ricorso alla somministrazione a termine avrebbe espressamente disposto in tale senso. Di contro la mancanza di un divieto siffatto costituirebbe chiaro significato circa l’ammissibilità dell’operazione negoziale e ciò in omaggio al principio per cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit. Sotto altro aspetto si osserva che il testo dell’art. 5, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 368 cit. assimila le due tipologie contrattuali ai soli fini del computo del termine massimo dei trentasei mesi. Tale assimilazione sottenderebbe la natura speciale della disposizione di cui all’art. 5, comma 4 bis, del D.lsg. n. 368 cit., la quale invero non altererebbe l’ontologica diversità tra i due contratti di lavoro, invero disciplinati da fonti normative del tutto distinte.
La tesi secondo la quale l’impiego della somministrazione durante la decorrenza dei tempi di intervallo costituirebbe operazione in frode alla legge
Altro assunto invece ritiene che l’impiego del lavoratore durante la decorrenza dei termini di intervallo di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368 cit., mediante il ricorso alla somministrazione a tempo determinato, seppur non astrattamente vietato dalla citata disposizione, si porrebbe in insanabile contrasto con l’art. 1344 c.c. in quanto prefigurerebbe un’operazione volta a eludere le esigenze di stabilizzazione del rapporto le quali sarebbero infatti da un impiego frazionato dello stesso lavoratore presso la stessa impresa senza l’osservanza degli intervalli temporali di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368 cit. A sostegno dell’assunto viene richiamato l’orientamento giurisprudenziale che configura operazione in frode alla legge l'ipotesi di reiterati contratti di fornitura di lavoro temporaneo conclusi sempre con lo stesso lavoratore avviato presso la medesima impresa utilizzatrice allo scopo di eludere la regola della temporaneità dell'occasione di lavoro. L'effetto che deriva dall’adesione a tale impostazione è la dichiarazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal primo contratto concluso tra lavoratore e datore di lavoro.
Considerazioni
Senz’altro entrambe le costruzioni sono plausibili e la maggiore validità dell’una o dell’altra è strettamente dipendente dalle circostanze del caso specifico.
L’assunto che invoca l’applicazione dell’art. 1344 c.c. ha fondamento nella misura in cui in concreto venga dimostrato un quid pluris e cioè l’animus fedifrago della parte datoriale, e quindi che l’operazione negoziale posta in essere abbia una causa illecita nel senso che sia connotata dall’univoca finalità di destabilizzare il rapporto di lavoro in danno al lavoratore. E tale circostanza non è di secondaria importanza. In astratto potrebbe semmai osservarsi che la prima impostazione appare più rispondente alla differenziazione degli istituti che sono e rimangano diversi quanto alle rispettive finalità e regolamentazione normativa. Ciò d’altronde pare cogliersi, sia pure incidentalmente, anche nella visione ministeriale, laddove si afferma che “i due istituti contrattuali rappresentano degli strumenti di flessibilità differenti” e che rispondono anche a livello comunitario a principi diversi. Quest’ultima circostanza è stata messa in luce dallo stesso Ministero che, sempre nella medesima circolare, ha osservato che la stessa direttiva comunitaria sul lavoro a termine esclude l’applicazione delle restrizioni ivi previste alla somministrazione di lavoro. La conseguenza che pare possa trarsi da tali argomentazioni è che il Ministero sia propenso ad ammettere correttamente il ricorso alla somministrazione durante la decorrenza degli intervalli tra due contratti a tempo determinato, salvo, ben inteso, l’accertamento sulle finalità illecite della complessiva operazione.
Il caso concreto
Gamma ha concluso con Tizio un contratto a termine della durata di sei mesi. Alla scadenza del contratto e durante la decorrenza del periodo di intervallo di cui all’art. 5, comma 3, D.lgs. n. 368/01, Tizio viene assunto dalla Agenzia Interinale Beta, la quale, su richiesta di Gamma, invia in missione presso quest’ultima Tizio. Il contratto di somministrazione viene concluso prima che finisca il periodo di intervallo relativo al contratto a termine di sei mesi stipulato tra Gamma e Tizio. A giudizio degli scriventi la condotta in sé e per sé considerata può ritenersi legittima, poiché la natura speciale dell’art. 5, comma 4 bis, del D.lgs. n. 368 cit. non ammette interpretazioni estensive rispetto al portato strettamente letterale della norma, che invero è limitato al vincolo temporale massimo dei trentasei mesi, senza alcuna inferenza rispetto ai periodi di intervallo di cui al comma 3 del medesimo articolo di legge. D’altronde contratto di somministrazione a termine e contratto a termine costituiscono negozi distinti con la conseguenza che non appare possibile applicare al contratto di somministrazione la disciplina degli intervalli temporali di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368 cit., invero riguardante esclusivamente il contratto a termine.
NOTE
i Il Ministero del Lavoro con circolare n. 27 del 2012 ha ritenuto che la locuzione contrattazione collettiva vada intesa come riferita alla contrattazione interconfederale o di categoria ovvero in via delegata alla contrattazione di secondo livello.
ii Le causali si riferiscono a processi produttivi per: avvio di una nuova attività; lancio di un prodotto o di un servizio innovativo; implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico; fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo; rinnovo o proroga di una commessa consistente.
iii Il Ministero del Lavoro con risposta a interpello n. 37 del 2012 ha ritenuto che l’integrazione dell’ipotesi di riduzione dei termini è valida anche se effettuata da discipline collettive introdotte anteriormente all’entrata in vigore del riformato articolo di legge.
iv Cfr. art. 46 bis comma 1 lett. a) del D.L. n. 83/12 conv. in L. n. 134/2012.
v In ordine a tale fattispecie derogatoria la circolare precisa che non è previsto un ruolo sostitutivo del Ministero del Lavoro.
vii Cfr. Ministero del Lavoro risposta all’interpello n. 32 del 2012.
viii Cfr. art. 5 comma 3 primo periodo del D.lgs. n. 368 cit..
ix Cfr. art. 5 comma 4 del D.lgs. n. 368 cit..
x Cfr. G.S. Santarelli “Diritto dei lavori”, 2013, pagg. n. 273 e ss..
xi Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 02/07/2009, n. 15515; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 07/02/2008, n. 2874; App. L'Aquila, 03/06/2010.
xii Cfr. Ministero del Lavoro risposta a interpello n. 32 cit..
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