Con sentenza n. 639 del 20 luglio 2020, il CGA per la Regione Sicilia ha fornito alcune puntualizzazioni in ordine al cosiddetto “termine lungo” per appellare le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali.
Il Collegio amministrativo ha spiegato che quello in oggetto è un termine residuale, non determinato dalla volontà delle parti e finalizzato a fare in modo che la pendenza del rapporto processuale abbia termine definitivamente a prescindere dalle scelte processuali degli attori e per eliminare ogni incertezza sulla formazione del giudicato.
Detto termine lungo rimane dunque perentorio, insuperabile e sottratto alla volontà ed alle scelte processuali delle parti.
Nella vicenda in esame, i giudici amministrativi hanno dichiarato irricevibile, ai sensi dell’art. 35, c. 1, lett. a) C.p.a., un atto di appello che era stato notificato una volta superato il termine lungo per l’impugnazione che - trattandosi nella specie di rito dell’ottemperanza con termini dimezzati - era di tre mesi dalla data di pubblicazione della sentenza.
A nulla sono valse le argomentazioni sostenute dall’appellante, secondo il quale l’obbligo di rispettare il termine lungo di impugnazione è imposto dal legislatore nella sola ipotesi in cui la sentenza appellata non sia stata notificata.
Interpretazione, questa, non condivisa dal CGA che anzi l’ha ritenuta non conforme ai principi generali che regolano i termini delle impugnazioni nell’ambito del processo amministrativo.
Per il Consiglio, l’utilizzo del termine “in difetto” da parte dell’art. 92 c. 3 C.p.a. in luogo del termine “indipendentemente” (usato dall’art. 327 c. 1 C.p.c.) “non comporta una totale ed ontologica revisione della disciplina dei termini, che è inspirata a dare certezza al giudicato ed ai suoi effetti”.
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