Telecamere sul lavoro E’ ancora reato

Pubblicato il 12 dicembre 2016

Costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza sull'attività dei lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta – D.Lgs. 151 del 2015, c.d. Job Act – mantenuto integra la disciplina sanzionatoria, per la quale la violazione dell’art. 4 Statuto dei lavoratori è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 stessa Legge.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, rigettando il ricorso di un imputato, condannato ex art. 4 comma 2 e 38 Legge n. 300/1970, poiché nella qualità di legale rappresentate di una società che si occupava di distribuzione di carburante, consentiva, tollerava e dunque non impediva che venissero istallate delle telecamere nelle vicinanze della stazione di servizio, collegate ad un monitor sistemato nel vano ufficio, che permettevano il controllo della lavoratrice addetta alle pompe di rifornimento. Ciò in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali ed in mancanza di provvedimento della Direzione territoriale del lavoro.

Job act non elimina divieto controllo a distanza

Ritenendo infondate le censure del datore, la Cassazione ha ricordato che l’art. 4 Legge n. 300/1970 poneva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei prestatori di lavoro.

L’art. 23 D.Lgs. 151/2015 (attuativo di una delle deleghe contenute nel c.d. Job Act) ha poi modificato il suddetto art. 4 Legge n. 300/1970, rimodulando la fattispecie, nella consapevolezza di dover tenere conto, nell'attuale contesto produttivo, oltre che degli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti “dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e di quelli “utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”.

La modifica in questione – precisano gli ermellini – si fonda su una presa d’atto del legislatore in base alla quale le nuove tecnologie, soprattutto telematiche, hanno superato la dicotomia contenuta nell'art. 4 Statuto lavoratori, tra strumento deputato al controllo del lavoratore (ex comma 1 art. 4) e strumento di lavoro (ex comma 2 art. 4). Taluni strumenti telematici, difatti, sconosciuti quando fu varato lo Statuto dei lavoratori, costituiscono, nell'attuale sistema di organizzazione del lavoro, “normali” strumenti per rendere la prestazione lavorativa, pur realizzando nello stesso tempo un controllo capillare e continuo sull'attività del lavoratore.

Resta tuttavia fermo il principio, dunque non smentito dalla novella ex lege n. 151/2015, che ha mantenuto integra la disciplina sanzionatoria, secondo la quale l’art. 4 Statuto dei lavoratori, la cui violazione è penalmente sanzionata ex art. 38 stessa legge, fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, si ritengano lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore.

Continuità illecito

Da ciò deriva – conclude la Corte con sentenza n. 51897 del 6 dicembre 2016 – che sussiste continuità di tipo di illecito tra la previgente formulazione dell’art. 4 Legge 300/1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del D.Lgs. 151/2015, nel senso che costituisce ancora reato l’uso di impianti o strumenti atti al controllo a distanza dei lavoratori. 

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