La TIA - Tariffa sui rifiuti, o più precisamente, Tariffa d’Igiene Ambientale introdotta dalla Legge n. 22/1997 art. 49 e abolita/sostituita dalla TARES con Legge n. 214/2011 – non è assoggettabile ad Iva, stante l’inesistenza di un nesso diretto tra il servizio fruito e l’entità del prelievo; quest’ultimo commisurato in base a mere presunzioni forfetarie di producibilità dei rifiuti interni ed al costo complessivo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni. Ciò che porta ad escludere la sussistenza di un rapporto sinallagmatico, posto alla base dell’assoggettamento ad Iva ai sensi degli artt. 3 e 4 D.p.r. n. 633/1972 e caratterizzato dal pagamento di un “corrispettivo” per la prestazione di servizi.
Se poi si considerano gli elementi autoritativi propri sia della TARSU (tassa, precedente alla TIA, per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) che della TIA in esame, entrambe le entrate devono essere ricondotte nel novero di quei “diritti, canoni o contributi” che la stessa normativa comunitaria esclude, in via generale, dall'assoggettamento ad Iva, perché percepiti da enti pubblici per “le attività ed operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità”. Non può difatti negarsi che, sia per la TARSU che per la TIA, il soggetto attivo del prelievo è il Comune; e ciò ancorché, come nel caso qui in esame, il regolamento comunale affidi a terzi l’accertamento o la riscossione dei relativi prelievi.
A stabilirlo la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con ordinanza n. 5627 del 7 marzo 2017, confermando la decisione con cui una società terza (affidataria, per conto del Comune, del servizio di riscossione dell’imposta sui rifiuti) era stata condannata a restituire ad alcuni utenti del servizio smaltimento rifiuti urbani, l’importo indebitamente percepito a titolo Iva sulle bollette emesse per la riscossione della tariffa.
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