Nonostante numerosi provvedimenti, circolari e disegni di legge, ad oggi non esiste ancora una normativa ad hoc né una precisa fattispecie giuridica in materia di mobbing. Lorenzo Fantini, della direzione generale per la tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del Lavoro, spiega che tra le proposte avanzate dai legislatori c'è chi qualifica il mobbing come un reato penale e chi, invece, lo considera inquadrabile nel sistema civilistico. Non solo. Alcuni individuano come "mobbizzante" la condotta da cui derivi un danno concreto per il lavoratore, altri considerano la potenzialità lesiva del comportamento; l'orientamento maggioritario, poi, richiede un'azione dolosa ma c'è chi fa riferimento anche alla colpa grave. Diversità di vedute si hanno anche sul fronte delle sanzioni e delle misure preventive.
La tutela dei lavoratori, allo stato, è affidata alla giurisprudenza che, per l'individuazione del mobbing, fa riferimento ad attacchi persecutori frequenti, duraturi, che abbiano il fine di mortificare ed offendere la vittima (es. marginalizzazione dell'attività lavorativa, ripetuti trasferimenti, svuotamento di mansioni e così via). Fantini, in proposito, sottolinea la necessità che venga invertito l'onere della prova in quanto dovrebbe spettare al datore di lavoro la prova dell'assenza di abuso. Ed infatti, la difficoltà più grande, per il lavoratore, è la dimostrazione e la quantificazione del danno subito. Difficoltà, questa, ancor maggiore in considerazione dell'impossibilità di trovare testimoni sul posto di lavoro. In diverse occasioni, infatti, dei dipendenti hanno lamentato una dequalificazione ed un demansionamento o altre forme discriminatorie ma le testimonianze dei colleghi non hanno confermato l'abuso del datore. L'Avv. Cantisani, infine, evidenzia che, spesso, il fenomeno del vittimismo di chi confonde il mobbing con il semplice disagio, ostacola la possibilità di far luce su comportamenti realmente dannosi.
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