Studi di settore validi. Anche se il professionista fornisce prova

Pubblicato il 17 novembre 2010 La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23156 del 16 novembre 2010, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, che aveva chiamato in giudizio un professionista per aver disatteso l’applicazione degli studi di settore sulla base della prova di aver effettivamente lavorato e percepito un determinato reddito nell’anno di imposta 1996, oggetto di accertamento del Fisco.

Il professionista era giunto, in prima istanza, alla Ctr di Milano e in quell’occasione si era visto annullare la pretesa impositiva Irpef sulla base del semplice fatto di aver presentato le parcelle relative all’anno accertato. Secondo i giudici milanesi: “il contribuente ha fornito tale prova producendo sia le copie delle parcelle emesse nell'anno di riferimento sia la copia del registro delle presenze da cui risulta che sono state lavorate, nel corso del '96, circa 7.650 ore realizzando una resa oraria di 43.000”. Ma, tale motivazione non è piaciuta all’Amministrazione finanziaria, che non accettava che le parcelle prodotte potessero bloccare l’applicabilità degli studi di settore, ricorrendo, così, in Cassazione.
 
Nell’ordinanza si legge che la tesi del volume d'affari parametrato alla parcella e agli orari di lavoro non è di per sé sufficiente ad annullare la pretesa impositiva, specie se il professionista è accusato di non aver fornito anche le relative fonti probatorie. Dunque, l’atto di accertamento induttivo si deve ritenere valido. Per tali ragioni, la decisione di merito dei giudici milanesi è stata annullata, in quanto considerata dalla Corte “una decisione che si esaurisce in proposizioni tautologiche”.
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