Affinché possa scattare l’accertamento basato sulle percentuali di ricarico è necessario che lo scostamento sia rilevante rispetto ai parametri fissati dall’Agenzia delle Entrate. Pertanto, l’atto impositivo è considerato infondato se il contribuente ha applicato una percentuale di ricarico comunque compresa nel range di ricarico normale previsto dallo studio di settore dell’attività svolta.
La Corte di Cassazione accoglie, così, il ricorso di un piccolo esercizio commerciale che aveva applicato un ricarico dell’87% sui propri prodotti, rispetto ad un range di settore fissato tra il 74% e il 224% e un ricarico medio della zona compreso tra il 250% e il 350%.
Si legge nelle motivazioni della sentenza n. 24300 del 30 settembre 2019 che la pronuncia della Ctr non è logicamente consequenziale nel considerare insufficiente un ricarico dell’87% rispetto al ricarico medio della zona, di per sé molto elevato, se comunque lo stesso si mantiene all’interno del range del ricarico normale previsto dallo studio di settore e il rilievo non è contestato in controricorso.
Pertanto, secondo la Corte, appare congruo un rincaro che, seppur poco sopra il minimo, rientra comunque nell’ambito dello studio di settore, “ove la percentuale massima è il triplo della minima, tanto da non poter costituire, ex se solo, indizio sufficiente per sostenere la ripresa a tassazione”.
Ne deriva che se un contribuente applica un ricarico che è all’interno dello studio di settore non dovrebbe essere sottoposto ad un accertamento basato proprio sulle percentuali di ricarico.
La ripresa fiscale riguarda, poi, anche l’Iva, cosa che consente all’Amministrazione finanziaria di ricorrere a studi di settore e metodi induttivi “solo in presenza di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati”.
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