Il Consiglio di stato si è pronunciato nell’ambito di una vicenda in cui era stato inequivocabilmente dimostrato il danno ingiusto sofferto da un’impresa in conseguenza di diversi atti illegittimi posti in essere dalla Pubblica amministrazione, annullati dal giudice amministrativo.
Nel dettaglio, una società aveva presentato al Comune un progetto finalizzato alla fruizione di un suolo adiacente al litorale marittimo, in suo comodato, per il tempo libero e la balneazione. L’intervento prevedeva la ristrutturazione di alcuni trulli e la collocazione sull’area di opere rimovibili in legno (pedane con ombrelloni e chiosco-bar), nonché la perimetrazione di un’area per la sosta delle auto.
L’attività, che aveva ricevuto un’iniziale autorizzazione, era stata interrotta dalla Soprintendenza per i beni archeologici con due consecutivi provvedimenti che erano stati, però, annullati dal TAR.
Appurata la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del risarcimento del danno, il Collegio amministrativo ha esaminato le censure svolte dall’impresa danneggiata, vertenti sulla dedotta errata liquidazione di detto danno da parte del Giudice di prime cure che aveva ritenuto esaustiva un’indennità, già offerta, pari a 15mila euro annui.
Il Consiglio di stato, in particolare – sentenza n. 1457 del 6 marzo 2018 – ha accolto i motivi sollevati dalla ricorrente in merito al negato riconoscimento del danno da mancato guadagno, per come commisurato all’impossibilità di svolgere la propria attività imprenditoriale.
In proposito, il giudice di prima istanza aveva ritenuto tale voce di danno non sufficientemente provata, in quanto il “potenziale pieno funzionamento della struttura risulta del tutto indimostrato”.
Valutazione, questa, non condivisa dal Consiglio di stato che ha ricordato il criterio di riferimento, desumibile dalla norma di cui all’art. 1223 c.c., in base al quale è risarcibile il danno “conseguenza immediata e diretta” dell’illecito.
E per il Collegio, rientrava sicuramente in quest’ultimo danno, il pregiudizio consistente nel mancato introito dei guadagni ricavabili dall’attività commerciale poi effettivamente attivata sull’area.
Per la relativa quantificazione, inoltre, non ha ritenuto necessario procedere con una consulenza tecnica di ufficio, in quanto il mancato introito poteva essere correttamente parametrato al ritardo con il quale era stata avviata l’attività.
Risultava, ossia, comprovato che l’illegittima apprensione dell’area da parte dell’amministrazione aveva ritardato la realizzazione del progetto, impedendo la percezione dei relativi frutti per circa un biennio.
Il danno effettivamente patito è stato quindi complessivamente determinato “in via equitativa” facendo riferimento a due intere annualità di utili “a regime”, sulla base, quindi degli utili (detratte le imposte) che risultavano nei bilanci depositati.
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