Stima sbagliata? Non significa che sia falsa. Stop alla condanna del commercialista

Pubblicato il 10 luglio 2023

Una perizia di stima sbagliata non può essere considerata alla stregua di una perizia falsa, soprattutto il principio contabile di riferimento è elastico.

E' questo uno dei motivi per cui la Corte di cassazione, con sentenza n. 29582 del 7 luglio 2023, hanno annullato, con rinvio, la condanna che i giudici di merito avevano comminato nei confronti del commercialista e dei sindaci di una società, ritenuti responsabili del reato di bancarotta impropria per avere concorso, con gli amministratori della compagine, a cagionare il dissesto di quest'ultima, dichiarata fallita, attraverso due operazioni di aumento di capitale considerate fittizie.

La pubblica accusa, in particolare, aveva ritenuto che i relativi conferimenti - rispettivamente di somme di denaro, di un ramo di azienda e di alcune obbligazioni - erano fittizi e dannosi.

Al professionista, nel dettaglio, era stato contestato di aver avallato, con la propria perizia estimativa, le due operazioni, tacendo o non adeguatamente valutando i forti debiti esistenti, valorizzando oltre il dovuto il progetto sotteso, non rilevando, infine, la scarsa credibilità delle obbligazioni della società che aveva emesso le obbligazioni.

Ai due sindaci, invece, era stato contestato di aver omesso, quali componenti del collegio sindacale, il doveroso controllo sulle predette operazioni.

Cassazione: una stima errata non è per forza fittizia

La Suprema corte ha giudicato fondate le doglianze sollevate dai tre imputati, per quanto riguarda il profilo della loro responsabilità, all'esito di una dettagliata analisi sulle diverse posizioni soggettive.

Verificando la posizione del commercialista, nella sua qualità di professionista incaricato della stima dei conferimenti, egli, come detto, era stato ritenuto responsabile per aver predisposto una falsa perizia estimativa per quanto riguardava il conferimento in natura (il ramo d'azienda) e le obbligazioni.

La stima redatta è quella prevista dall'art. 2465 cod. civ., per tutte le ipotesi in cui il conferimento in società di un bene avvenga in natura ed è diretta ad attestare, previa descrizione dei beni o dei crediti conferiti e indicazione dei criteri di valutazione seguiti, che il valore di essi è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del sociale (e dell'eventuale soprapprezzo).

Si tratta - ha osservato la Corte - di un atto caratterizzato da profili descrittivi (consistenti nella mera rappresentazione del dato storico) e valutativi (consistenti nella verifica di conformità della situazione fattuale rispetto a parametri predeterminati).

Ebbene, per gli Ermellini, che la stima fosse fallace e, quindi, scientificamente errata, non significava anche che fosse falsa.

La possibilità di applicare i criteri di veridicità o di falsità ad un enunciato valutativo - ha ribadito la Cassazione - dipende dal grado di specificità e di elasticità dei criteri di riferimento rispetto ai quali deve essere operato il giudizio di conformità del dato storico.

E alla luce dell'elasticità e della duplice valutazione presupposta nell'applicazione del principio Oic 24 sulle immobilizzazioni immateriali, la semplice indicazione della (pacifica) necessità di una valutazione (integrativa) di redditività non appariva elemento sufficiente per sostanziare il giudizio di falsità.

Il richiamato principio contabile Oic, nella sua stessa formulazione letterale, è volutamente elastico e non esclude l'applicazione del criterio utilizzato dal professionista, anzi lo impone, correggendone poi l'operatività ancorando il limite superiore ad un'ulteriore valutazione, concernente le concrete prospettive di reddito legate al progetto.

Nella specie, a ben vedere, il dissesto appariva determinato non già dalla fittizietà dei trasferimenti ma dall’insostenibilità economica dell’operazione, circostanza, in sé, estranea al perimetro della valutazione affidata allo stimatore e da questa indipendente.

Questo non bastava per affermare la responsabilità del commercialista, né degli altri due imputati, soprattutto in assenza della prova della consapevolezza e della volontarietà delle rispettive azioni.

In definitiva, la sentenza impugnata doveva essere annullata, con rinvio, ad altra sezione della Corte d'appello per nuovo esame di merito.

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