L’avvocato, nell’ambito delle spese processuali, non può essere condannato in solido con il cliente in assenza di una comunanza di interessi o di atteggiamenti difensivi convergenti.
Così la Corte di cassazione, con sentenza n. 27476 del 30 ottobre 2018, dopo aver ricordato che, in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi.
Una comunanza che – hanno spiegato i giudici della Terza sezione civile - può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, di talché la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall'interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto.
Tuttavia, è da ritenere non caratterizzata “da fatti costitutivi comuni o da identità di questioni dibattute o da atteggiamenti difensivi convergenti diretti a contrastare la pretesa avversaria rispetto all'oggetto”, la posizione del cliente e dell’avvocato quando questi siano stati rispettivamente condannati, il primo, nel merito e, il secondo, alla restituzione delle spese di lite indebitamente percepite, in ragione della cassazione e della riforma della sentenza impugnata.
Ciascuna parte, nel contesto esaminato, è tenuta a rispondere delle spese per posizioni e pretese diverse:
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