Le spese di avvio della mediazione obbligatoria non sono qualificabili come “compenso” per gli organismi di mediazione, bensì costituiscono un onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie.
Poiché, poi, il primo incontro di mediazione non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne costituisce parte integrante, e dal momento che tale fase è stata configurata dal legislatore come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione, è da considerare coerente e ragionevole la scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.
In definitiva, le spese di avvio rappresentano un costo di esercizio che il legislatore, nell’ambito del proprio potere discrezionale, ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.
Diverso è il discorso relativo alle spese di mediazione che, ricomprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”, integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione e per le quali, pertanto, in applicazione del comma 5-ter dell’art. 17 del Decreto n. 28/2010, “non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro”.
E’ quanto chiarito dal Consiglio di stato nel testo della sentenza n. 5230 del 17 novembre 2015.
Nella medesima decisione il Collegio amministrativo ha altresì condiviso le conclusioni esposte dal Tar del Lazio nella sentenza impugnata n. 1351/2015 in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Unione Nazionale delle Camere Civili (Uncc) relativamente al comma 2 dell’articolo 5 del Decreto legislativo n. 28/2010, il quale, per effetto della “novella” introdotta dal Decreto legge n. 69/2013, consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.
Secondo il Consiglio di stato, in particolare, “una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale”.
E’ stato parzialmente accolto, infine, il motivo d’appello dell’Amministrazione relativo al capo di sentenza con cui era stato annullato il comma 3, lettera b), dell’articolo 4 del Decreto ministeriale n. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
Secondo i giudici amministrativi, non vi è sarebbe, infatti, alcun dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori.
E’ stata conseguentemente riformata, sul punto, la decisione impugnata con reiezione del ricorso di primo grado.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".