Nei giudizi di impugnazione davanti alla Corte d'Appello o di Cassazione, l'imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168 bis c.p., nè può sollecitare l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito, attesa la incompatibilità del nuovo istituto (introdotto con Legge 67/2014) con i predetti giudizi di impugnazione, poiché il beneficio dell'estinzione del reato ad esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter procedimentale alternativo al giudizio.
E' quanto conclusivamente dedotto dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 22104 depositata il 27 maggio 2015, nel respingere il ricorso di un'imputata, condannata per aver immesso nel mercato alcuni oggetti considerati pericolosi.
Lamentava in particolare la ricorrente, come i giudici dell'appello avessero erroneamente negato la rimessione in termini per la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, sull'assunto che fosse stata ormai superata la fase processuale di cui all'art. 464 bis comma 2 c.p.p. per formulare la predetta istanza di sospensione.
Invero suggeriva la ricorrente, per il tramite del suo difensore, un'interpretazione maggiormente estensiva del nuovo istituto, rilevando come il superamento del termine ultimo per richiedere la sospensione ex art. 168 bis c.p., non può costituire un limite invalicabile nè giustificare una disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 Cost. Donde l'applicabilità dell'istituto a tutti i processi – ancorché come nel caso di specie si trovino in fase processuale successiva – in cui vi sia già stata sentenza non definitiva di condanna.
Sul punto la Cassazione – aderendo in pieno alla lettura della Corte territoriale – ha tuttavia precisato come in assenza di apposita disciplina transitoria, il principio di retroattività della lex mitior (invocato dal ricorrente richiamando la Cedu e la giurisprudenza di Strasburgo) non trovi applicazione nel caso di specie. Detto principio riguarda infatti le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono, mentre l'istituto della messa alla prova si configura piuttosto come un percorso del tutto alternativo all'accertamento giudiziale penale, che non incide affatto sulla valutazione sociale dell'illecito.
Si è dunque– ha proseguito la Cassazione – fuori dall'ambito di operatività del principio di retroattività della lex mitior ed è pertanto da escludersi che la mancata previsione dell'applicazione retroattiva dell'istituto de quo, si ponga in contrasto – come invece rilevato dalla ricorrente – con l' art. 7 Cedu, come interpretato dalla Corte di Strasburgo e con l'art. 117 Cost. che di esso è parametro di legalità costituzionale.
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