Soppressione del posto di lavoro, illecito demansionare il lavoratore

Pubblicato il 16 aprile 2019

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, poiché la posizione lavorativa è venuta meno per crisi economica accertata dall’azienda, è lecito licenziare il lavoratore se il datore di lavoro non può diversamente ricollocare la risorsa all’interno dell’organigramma aziendale. In tale fattispecie, però, anche se è impossibile assolvere all’obbligo di repechage (cd. ripescaggio), che costituisce elemento integrativo della fattispecie del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, la privazione totale delle mansioni non può essere una alternativa al licenziamento. Infatti, lo svuotamento totale delle mansioni del lavoratore costituisce violazione di diritti inerenti alla persona del lavoratore oggetto di tutela costituzionale.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10023 del 10 aprile 2018, in relazione al ricorso di una società nei confronti di un proprio dipendente che aveva avanzato risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, derivatogli dalla privazione delle mansioni.

Soppressione del posto di lavoro, la sentenza

La Suprema Corte, nel confermare le pronunce di primo e secondo grado di giudizio, ritiene non fondata la deduzione della società secondo la quale il mantenimento del rapporto di lavoro era avvenuto esclusivamente nell'interesse del lavoratore, in quanto a seguito della soppressione della posizione lavorativa da questi rivestita nella organizzazione aziendale (giornalista addetto all'ufficio stampa) il rapporto si era svolto al solo fine di cercare una soluzione concordata, che potesse preservarne l'occupazione.

Sul punto, i giudici di merito osservavano che il datore di lavoro poteva legittimamente porre fine al rapporto di lavoro a fronte di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ma che, ove non avesse esercitato tale potestà, non poteva mantenere in vita un rapporto nel quale la professionalità del lavoratore fosse pregiudicata dalla totale assenza di mansioni.

La disciplina delle mansioni all'epoca vigente avrebbe consentito l'attribuzione al lavoratore, con il suo consenso, di mansioni inferiori - quando tale scelta fosse stata l'unica in grado di preservare l'occupazione - ma non il mantenimento di un rapporto svuotato totalmente di contenuto professionale.

Quindi, affermano i giudici di legittimità, se da un parte il datore di lavoro ha l’obbligo di assegnare al lavoratore altre mansioni professionalmente equivalenti - ove disponibili nella organizzazione aziendale - nonché - previo consenso di quest'ultimo - anche di mansioni di contenuto professionale inferiore (cd. patto di demansionamento), d’altra parte la privazione totale delle mansioni non può essere coonsiderata una alternativa al licenziamento .

 

 

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